Terapia intensiva neonatale,a Monza è boom di ricoveri

Monza – Cento ricoveri in più nel giro di quattro anni con un aumento esponenziale di bambini extracomunitari. Sono questi i numeri della Terapia intensiva neonatale (Tin) del San Gerardo. Numeri che lasciano pensare, che fanno riflettere: dal 2004 al 2008 il numero di ricoveri è passato da 380 a 480 all’anno. Ora il 50 percento sono bambini stranieri. Erano solo il 15 percento fino a quattro anni fa. “La maggioranza dei bambini che vengono ricoverati da noi –spiega Maria Luisa Ventura, pediatra della Tin- sono prematuri, bambini sottopeso che alla nascita non raggiungono il chilo e mezzo”. Bambini che possono sopravvivere solo con l’ausilio di macchine (la Tin, infatti, altro non è che una rianimazione per bambini) e che, anche una volta dimessi, potranno riportare conseguenze sul piano motorio o cognitivo.

“Nel nord Italia –prosegue la specialista- l’1.9 percento dei bambini nasce prematuro. Il 20 percento di quelli che sopravvivono manifesta un handicap. E a morire è il 10 percento”. Numeri grandi. Di cui non si parla. Anche quando si mettono in scena battaglie per la vita: “Quello dei prematuri –aggiunge la Ventura- è un problema di cui manca la percezione. Anche a livello di ricerca si fa poco o nulla. Noi non sappiamo, ad esempio, come toccare un bambino che nasce di 23 settimane, non abbiamo la strumentazione, non abbiamo le conoscenze”. Conoscenze e strumentazione che mancano a tutta la comunità scientifica: mancano i respiratori per intubare bimbi così piccoli e mancano conoscenze su come toccarne la pelle (simile a quella degli ustionati), come spostarli, come curarli: “Fino agli anni ’80 si pensava che il problema dei prematuri si sarebbe esaurito, con il miglioramento delle conoscenze ostetriche. Non è stato così”. Soprattutto per chi di quelle cure non riesce ad usufruire: le donne straniere, ad esempio. “Non solo non conoscono i servizi di ostetricia e di ginecologia, ma anche accettano con difficoltà la vita di un figlio che può sopravvivere solo se sostenuto artificialmente”.

Eppure è importante che i genitori siano coinvolti nel piano di cure, soprattutto perché i bambini ricoverati in Terapia intensiva ci restano almeno per i primi due o tre mesi di vita: “La famiglia può stare con il bambino quanto vuole. Noi seguiamo una terapia cosiddetta family oriented orientata a ricostruire il legame spezzato al momento della nascita: i genitori si aspettano un figlio sano, si creano aspettative, si costruiscono il film della vita del proprio bambino. E quando nasce un prematuro, malformato, è difficile da accettare”. I genitori, inoltre, sono spaventati dalle macchine, da quel reparto che paragonano alla Nasa, da quei bambini che non sanno respirare da soli, che non sono rosei e paffutelli, ma minuti e di un colorito grigiastro. Difficile, per dei genitori, accettare l’handicap. Difficile, ancor di più, per donne di cultura differente da quella occidentale che dà valore alla vita, comunque essa si presenti.
Elena Lampugnani