Prefettura sonda, Monza risponde«Qui per i profughi non c’è posto»

Monza – A Monza difficilmente potranno essere ospitati i rifugiati in fuga dalla Libia o dagli altri Paesi del Nord Africa. In città non esistono strutture di accoglienza e gli appartamenti del comune e delle associazioni caritative sono tutti occupati. È la risposta che il sindaco Marco Mariani ha fornito la scorsa settimana alla Prefettura di Milano che sta effettuando di ricognizione dei luoghi in cui smistare gli eventuali profughi che a breve potrebbero approdare in Italia. L’unico complesso libero, di una certa dimensione, è la ex Fossati e Lamperti che però andrebbe attrezzata e dotata di servizi.

«Non possiamo certo far venire qui la gente per poi ammassarla in una vecchia fabbrica senza bagni – afferma Mariani – abbiamo fatto un accertamento, ma a Monza non ci sono stabili idonei». «Siamo una città di piccole dimensioni – aggiunge l’assessore ai Servizi sociali Pier Franco Maffè – con una forte densità abitativa. Fatico a individuare un’area dove allestire una struttura di accoglienza: abbiamo a disposizione solo alcuni terreni lungo viale delle Industrie. Non basta, però, collocare dei capannoni: occorre una rete di servizi e noi non abbiamo le risorse per realizzarla».

«Non si tratta di non voler fare la nostra parte – assicura l’amministratore – è che proprio non saremmo in grado di accogliere nemmeno venti persone. Se mai dovessimo trovarci di fronte a un’emergenza nazionale ci confronteremo con le altre istituzioni, ma ora la scelta più intelligente mi sembra quella del Governo che punta ad attuare interventi umanitari nei luoghi del conflitto. Si tratta di una soluzione rispettosa delle persone che non devono essere costrette ad abbandonare i loro paesi».

L’ipotesi Fossati e Lamperti potrebbe riaprirsi se lo Stato mettesse a disposizione le risorse necessarie per trasformarla in un centro di ospitalità; un discorso analogo potrebbe essere fatto per l’ex asilo di via Spallanzani. Monza, a quel punto, diventerebbe per la prima volta meta di profughi. Se si escludono gli istriani e i dalmati accolti negli anni ’50 in Villa Reale, sarebbe un’esperienza nuova.

Eppure, ricordano Maffè e il capogruppo del Pd Roberto Scanagatti, negli anni ’90 il ministero aveva ipotizzato di allestire un centro alla ex caserma IV Novembre, attiva fino a pochi anni prima, destinato agli immigrati albanesi o a chi fuggiva dalla ex Jugoslavia. Il progetto non ha avuto alcun seguito, ma la voce era girata. La proposta è poi naufragata quando l’amministrazione Colombo ha firmato l’Accordo di programma al Rondò, primo passo per l’abbattimento del complesso militare. Sempre in quell’epoca, aggiunge Scanagatti, era stata ventilata la possibilità di ristrutturare la cascina Cantalupo per chi scappava dal Kosovo in guerra: «Il finanziamento iniziale – dice il consigliere – era motivato da quell’urgenza. Non se ne fece nulla per contrasti all’interno del centrodestra. Poi, con l’arrivo della giunta Faglia e la fine del conflitto, i contributi sono stati dirottati sulla casa per donne in difficoltà».
Monica Bonalumi