Neonata morta a Vimercate«Dovete condannare i medici»

Chiesto un anno e mezzo di carcere per il ginecologo e l'ostetrica che avevano assistito al parto una donna nel 2007, all'ospedale di Vimercate: la bambina era morta in pochi giorni. Sentenza a ottobre.
Neonata morta a Vimercate«Dovete condannare i medici»

Vimercate – Un anno e mezzo di reclusione, contro l’assoluzione degli imputati. La parola, al processo che vede un ginecologo ed un’ostetrica di Vimercate accusati di omicidio colposo in relazione alla morte di una neonata avvenuta nel 2007, a cinque giorni dal parto, passa al giudice per la sentenza. Da una parte, dunque, le richieste di condanna ad un anno e mezzo ciascuno per i due imputati, avanzate martedì pomeriggio dal vice procuratore onorario Paola Suglia, al tribunale di Monza. Dall’altra, l’assoluzione chiesta dagli avvocati della difesa. L’accusa ruota attorno al dramma vissuto da una coppia di monzesi, lui 39 anni, lei 40, a metà luglio 2007. La bambina data alla luce dalla donna, morta dopo pochi giorni.

Secondo le accuse, il dottore, un ginecologo ultrasessantenne, e l’ostetrica, una 38enne della provincia di Lecco, entrambi di turno in occasione del ricovero presso l’ospedale cittadino della partoriente monzese, hanno responsabilità professionali in relazione alla morte della bimba, avvenuta per aver aspirato grandi quantità di sangue e liquido amniotico, al termine di un intervento con taglio cesareo. Un parto, quello vissuto dalla donna, caratterizzato dalla rottura dell’utero nel corso del travaglio e, sempre secondo il capo di imputazione, da “gravi ritardi” nelle condotte degli imputati. La colpa starebbe nel non aver adeguatamente monitorato e sorvegliato la paziente nell’evoluzione del travaglio, e nell’aver trascurato i segni “altamente suggestivi” della rottura dell’utero.

La bimba si sarebbe potuta salvare, sempre stando alle tesi dell’accusa, con una decisione più tempestiva di procedere al cesareo, che in questo caso sarebbe stato tardivo. Il travaglio, inoltre, sarebbe stato accelerato mediante la somministrazione di ossitocina, avvenuta in dosi e modalità non corrette. Quella relativa a chi ha deciso di dare l’ossitocina, è una delle questioni su cui si è dibattuto nel processo. Secondo il medico, l’iniziativa sarebbe stata dell’ostetrica, che avrebbe agito senza il suo consenso. Una versione dei fatti contrastata, però, dalla coimputata. Il giudice, inoltre, ha ascoltato le conclusioni dei periti di accusa e difesa.

Secondo quanto riferito dal consulente del pm, il ginecologo avrebbe dovuto seguire costantemente l’evoluzione del travaglio, e non lasciare in sala parto la gestante quando era sofferente a causa della rottura dell’utero (come emerso dalla testimonianza del marito della donna) per affidarla esclusivamente alle cure dell’ostetrica. Inoltre, trattandosi di donna che aveva già partorito con taglio cesareo in occasione della prima gravidanza, il medico avrebbe dovuto valutare come più alto il rischio di rottura dell’utero, e tenere una sala operatoria disponibile in caso di problemi. I genitori, già risarciti, non si sono costituiti parte civile. Sentenza prevista il 4 ottobre.
Federico Berni