Nella luce, dopo lo spazialismoA Monza personale di Yari Miele

Nella luce, dopo lo spazialismoA Monza personale di Yari Miele

Monza – Di Lucio Fontana le attenzioni spazialistiche, di Francesco Lo Savio i rapporti tra luci, ombre e geometrie, e di Gino De Dominicis la poetica dell’invisibile: si muove tra due cateti e un’ipotenusa la ricerca di Yari Miele, artista nato nel 1977 a Cantù e cresciuto all’accademia di Brera che da sabato scorso presenta alcune opere alla galleria Cart di via Sirtori 7 nella personale che è sintesi semplice e totale del lavoro: “Spazi di luce”. Si tratta dell’assenza alla luce dei lavori con vernici fosforescenti che diventano spazio e forma – e quindi opera – proprio quando l’illuminazione scompare, oppure di un’installazione a catarifrangenti che disegnano uno spazio diverso da quello che occupa se investita da uno spot al buio. O ancora di un gioco di geometrie nere dove i tratti in grafite appaiono e scompaiono in funzione delle posizione dell’osservatore. Già a Monza con AreaOdeon nel 2009 (per “On-Off”) Miele torna in città per raccontare forme «nuove e doppie: alla luce strutture essenziali e minimali – scrive il curatore Giorgio Viganò – composte di materiali poveri, che assumono nuove forme e vita con la negazione della luce e con l’alternanza di luce e ombra», in altre parole «un universo possibile ma immaginario». Ruota soprattutto intorno alla luce con radici nel Seicento caravaggesco, racconta l’autore, un percorso «nato all’accademia e poi sviluppato negli anni: sulla luce ho realizzato anche la tesi, affrontando Mario Merz, lo stesso Fontana, Bruce Nauman». Perché non c’è un motivo fondamentale, o almeno non programmatico, solo l’asserzione delle luminosità come «quello da cui si parte: è vita, forse una rappresentazione inconscia, ma la traduzione della notte e del giorno». Fino al 31 marzo.
Massimiliano Rossin