Monza, la Brianza è in tavolaEcco la pasta di farro di Latini

Monza, la Brianza è in tavolaEcco la pasta di farro di Latini

Monza – Quattordici mesi di progetto e settanta ettari di terreno, venti coltivatori, duemila quintali di prodotto finito: sono i numeri occorsi per servire in tavola la Brianza. È la pasta di farro coltivato nei campi della provincia che, a distanza di un anno e poco più dall’annuncio, è diventata realtà. L’ha prodotta la blasonata Latini di Osimo con il sostegno della Camera di commercio di Monza e Brianza e della Coldiretti, oltre alla complicità di un manipolo di agricoltori della provincia. «È come vincere il campionato» ha detto Carlo Latini di fronte alle nuove confezioni, lui che ha cullato l’idea di tornare a produrre farro in Brianza nel settembre del 2009, insieme alla moglie Carla.

Sono stati loro a coinvolgere prima il ristoratore Matteo Scibilia e poi la Camera di commercio, con l’idea che se la coltivavano prima i celti e poi i romani, da queste parti, allora era possibile farlo ancora. E così è stato: le coltivazioni («è un terreno ideale – dice Carlo Franciosi della Coldiretti Milano Lodi – perché i cereali vernini sono l’ideale su terreni non irrigui come questi») hanno reso quanto è bastato per duemila quintali tradotti in fusilli, spaghetti e tagliatelle con tempi di cottura molto ridotti e soprattutto trafilati al bronzo, ed essiccati a bassa temperatura. Insomma: tradizionali, e di qualità. Ora in tutto il mondo potrà arrivare la pasta di farro Latini – confezione nera tratteggiata in giallo-oro – con il sottotitolo “Coltivato in Brianza”: più o meno 15 dollari al pacco a Manhattan, dove già la pasta della casa di Cosimo arriva, fra i 3 e i 3,50 euro in Italia.

Al momento la produzione potrà soddisfare soprattutto il mercato provinciale, ma l’obiettivo è di incrementarla, progetto che la Provincia, per bocca del consigliere Daniele Petrucci, «intende sostenere». D’altra parte l’interesse è anche economico: il farro viene pagato 28 euro al quintale ai coltivatori, anche il doppio del prezzo del frumento tradizionale quando è stato siglato il contratto. La pasta finita dal raccolto 2010 ha nell’insieme un valore di mercato di un milione di euro. «Una sfida vinta» commenta Renato Mattioni, direttore generale della Camera di commercio, per il quale la pasta di farro è un nuovo fondamentale capitolo dell’attenzione verso l’identità territoriale e il suo passato agricolo, lo stesso che permette di avere altri prodotti di valore, come la patata di Oreno e l’asparago di Mezzago, o il pan tramvaj tra i lavorati.

«L’agricoltura è la grande forza dei popoli – ha detto Giuseppe Meregalli, vicepresidente della Camera di commercio – ma qui dobbiamo confrontarci con un territorio tra i più urbanizzati d’Italia, secondo solo a quello di Napoli. Eppure la crisi ci ha riportato con i piedi per terra, ed è da lì, dalla terra, che è necessario ripartire, perché la terra rappresenta i nostri valori». E poi? E poi lo sviluppo, perché «ora occorre selezionare ulteriormente le varietà e aumentare la produzione (Franciosi)», a partire da una certezza, pronunciata da Carlo Latini e ribadita da Matteo Scibilia: «La pasta bianca, passata al teflon, essicata ad alte temperature, è la pasta del dopoguerra, con alti picchi glicemici. Non è la pasta di oggi. Ora serve altro, e quella di farro può rappresentare una parte di questo futuro».
Massimiliano Rossin