Monza, il ricordo dei sopravvissuti«Le rotaie trafissero il vagone»

Monza – Era un martedì quel 5 gennaio di cinquanta anni fa. Faceva freddo e c’era molta nebbia. Una di quelle giornate che si vorrebbero trascorrere in casa. E invece quel martedì, come sempre, il treno delle 7.20 è partito puntuale dalla stazione di Olgiate, diretto a Milano. Su quel treno, stipato di lavoratori e studenti, viaggiavano anche Gianmaria Crippa, allora ventenne studente lavoratore diretto alla Siemens, e il suo amico Riccardo Guffanti, di due anni più giovane, impiegato in un laboratorio di meccanica di precisione. «Il treno era pieno di gente – ricorda Crippa -. Il viaggio durava circa un’ora, giusto il tempo per farci qualche partita a carte. Io e Riccardo viaggiavamo sempre sullo stesso vagone, quella mattina però lui ha preferito sistemarsi in quello dietro, perché doveva studiare». Tutto normale, poi l’inferno. Arrivato a Monza, all’altezza del ponte di viale Libertà, il treno avrebbe dovuto rallentare a causa dei rallentamenti dovuti al cantiere del sottopasso in costruzione. Così non fu. A causa della nebbia, come dissero alcuni, o più probabilmente per l’alta velocità, il treno deragliò in un’orribile carambola. Un errore umano che costò la vita a diciassette persone, oltre 115 i feriti.

«Alcuni vagoni precipitarono dal ponte, le rotaie si sollevarono e trafissero letteralmente il vagone dove mi trovavo io – ricorda Guffanti -. Il ragazzo che viaggiava davanti a me, Elio Sangiorgio, di venti anni, anche lui partito da Olgiate, morì subito. Poi alzai lo sguardo e vidi il corpo senza vita di un sacerdote infilzato dalle lamiere della rotaia». Era don Giuseppe Caffulli, di quarantasei anni, parroco di Dervio. «È terribile quanto è accaduto a quel sacerdote, ma fu proprio quella rotaia, infilzata nella carcassa del vagone, che riuscì a tenerlo in bilico fino all’arrivo dei soccorsi». I minuti che seguirono l’impatto si fanno confusi per i due sopravvissuti. «Non c’erano morti nel mio scompartimento, io sono uscito dal treno e mi sono rifugiato in un bar che si trovava a poca distanza». Riccardo, sporco del sangue dei suoi compagni più sfortunati, è riuscito a portare in salvo due ragazze che viaggiavano con lui». Intorno le urla dei sopravvissuti, l’arrivo dei primi soccorsi, i corpi straziati e la nebbia, ancora fitta. Oggi Gianmaria ha settant’anni e abita a Renate con la sua famiglia. Riccardo invece si è trasferito a Lanzo Torinese dove vive con la moglie. Non si sono più sentiti. Fino a oggi.
Sarah Valtolina