Lorenzo Cremonesi, l’inviato

Lorenzo Cremonesi
Lorenzo Cremonesi

Monza – Un venerdì di aprile che sembrava tardo autunno, pioggia sottile e umidità appiccicaticcia. Un pubblico quasi da caminetto per ascoltare un giornalista, Lorenzo Cremonesi, che sembra venire da tempi ormai sepolti da internet. La motivazione dell’incontro organizzato dalla Casa delle Culture di Monza e Brianza, spiega in apertura Diego Colombo corrispondente locale del Corriere della sera, è la presentazione del libro "Dai nostri inviati" curato dall’ospite su richiesta del suo editore.

Il libro racconta dei "grandi inviati" del Corriere della Sera dai primi di fine ottocento fino a Buzzati corrispondente dalle navi della Marina Regia durante la seconda guerra Mondiale. Un modo di "fare" giornalismo che ha contraddistinto, secondo Cremonesi, il Corriere. A tal proposito ha citato l?editoriale dell’allora direttore Eugenio Torelli Vollier che l’8 dicembre 1885 scriveva "Basta taglia e cuci. basta scopiazzare gli articoli dei giornali stranieri. Basta con le storie di seconda mano reinventate, rielaborate riscritte…". Ma dal rievocare le grandi corrispondenze, sospese fra dramma ed avventura, del passato all’esperienza personale di oltre trenta anni in Israele, Iraq, Pakistan ed Afganistan, ed alla situazione attuale dei giornali il passaggio è stato breve.

"Mi sorprende il provincialismo della stampa italiana- dice Cremonesi- il mdo d trattare il terremoto in Abruzzo ad esempio. A quasi due settimane dal fatto riempie ancora le prime pagine. I morti sono stati 295, tanti d?accordo. Ma come numero equivalgono a quelli di un incidente aereo. Il terremoto in Pakistan del 2005 fece 170.000 morti. E la nostra stampa quasi ignorò il fatto". Ma oggi la stampa tradizionale, la carta stampata i quotidiani, sono in crisi. In crisi di vendite e di pubblicità. "La situazione è grave ovunque non solo in Italia – dice Cremonesi citando i numeri dei licenziamenti annunciati dai maggiori quotidiani USA-. Il Boston Globe ha chiuso la propria sede a Gerusalemme, cosa quasi impensabile dati i rapporti fra USA e stato di Israele".

Conseguenza della crisi è la riduzione dei costi quindi, prima mossa, il richiamo degli inviati all’estero. Ma cosa comporta questa scelta? In estrema sintesi prendere le notizie da fonti esterne, in primo luogo Internet oltre che da qualche corrispondente locale. Senza possibilità di verificarle. Cioè rimettersi a fare ciò che il direttore del Corriere nel 1885 diceva finito per sempre.

Ma quale è il ruolo dell’inviato? "Compito del giornalista è raccontare ciò che vede. Non lasciarsi influenzare da altri fattori. Il giornalista non deve avere la pretesa di fare il missionario od insegnare la civiltà. Occorre saper vedere ciò che succede, sia in pace che in casi di conflitti, e raccontarlo nel modo più fedele possibile". Inevitabile il ricordo della corrispondenza da Gaza nel gennaio scorso quando affermò che il numero di morti dichiarato da Hamas era senza ombra di dubbio falso. "Non era un giudizio politico ma un dato di fatto. Tutti quei morti, per fortuna, non c’erano stati. Ed era giusto dirlo. Senza scordare che in ogni situazione di guerra le parti belligeranti usano la menzogna come arma di propaganda". Difficile poter raccontare ciò che succede senza essere direttamente presenti.
gigi brioschi

Dai nostri inviati. Ed. Fondazione Corriere della Sera- Rizzoli- pag. 371 – euro 30,00