L’Italia, la Brianza e il 25 aprilecon il Giornale della memoria

L’Italia, la Brianza e il 25 aprilecon il Giornale della memoria

Monza – L’Italia e il 25 aprile. L’Italia e il 2 giugno. L’Italia e il 4 novembre. Solo date? Solo dei ponti nei quali poter andare in vacanza? Forse sì. Forse queste tre date, cardini della storia italiana, non rappresentano più niente. Una provocazione? Forse no. Rappresentano solo un vacuo momento di divertimento e di evasione. E invece ricordano tragedia e speranza, morte e rinascita. Sono la nostra storia. La storia di Monza, della Brianza, della Lombardia come della Sicilia. La storia dell’Italia. Di cui oggi se n’è persa la memoria. Se si proponesse un sondaggio nelle scuole, oggi, su che cosa ricordano queste 3 date, si potrebbe anche rabbrividire per le risposte che se ne otterrebbero. E invece bisogna più che mai ricordare che l’Italia in cui viviamo oggi, con i suoi pregi e i suoi altrettanto numerosi limiti, è figlia indissolubile di due date di primavera e di una autunnale di decine di anni fa. E’ figlia di Caporetto e del Piave, del Carso e delle trincee. E’ figlia del proclama di Diaz: «I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza». E chi l’ha cacciato l’invasore austroungarico? Gli italiani, settentrionali e meridionali, insieme per la prima volta.

L’Italia di oggi è figlia del 2 giugno, di quanti hanno votato “repubblica” nel referendum istituzionale del 1946 invece che “monarchia”. L’Italia di oggi è figlia del 25 aprile, della guerra di Liberazione. Già, Liberazione da che cosa? Dalla guerra. Dalle stragi nazifasciste. Dalla morte, dalla dittatura. Dalla paura. Nel 1918 si è fatta l’Italia unita. Nel 1945 si è fatta l’Italia libera. Nel 1946 si è scelta l’Italia repubblicana. E cosa resta oggi di tutto questo? Un ricordo sbiadito, nel migliore dei casi. Così il 25 aprile è diventato la festa di “quelli di sinistra”. Definizione figlia dei tempi moderni, quantomeno ingenerosa rispetto al significato la giornata di domenica ha assunto 65 anni fa.

E allora come fare? Come cercare di ricordare davvero quanto accaduto in quegli anni terribili dello scorcio finale del secondo conflitto bellico mondiale? Basta andare in edicola. E prendere, in omaggio, l’ultimo numero del “Giornale della memoria”, un periodico nato per volontà dell’associazione Storia e territorio di Giussano. Il terzo numero, disponibile in un’ottantina di negozi del territorio, racconta cosa rappresentò il 25 aprile del 1945 in Brianza. La lotta partigiana, prima ancora dell’arrivo degli Alleati, divampò come un incendio da Vimercate ad Arcore, da Seregno a Mariano, da Lissone a Cantù. In tutta la Brianza, monzese, lecchese e comasca, morirono oltre 260 persone. Ecco allora narrate nelle pagine del giornale la storia di un ventenne monzese, ex repubblichino, freddato lungo la Valassina, a Seregno, mentre ripiegava dal Garda verso Como. O ancora la storia di Maria Galletti, di Muggiò, moglie del gappista Michele Robecchi, un sovversivo arrestato e deportato a Dachau. Lei, staffetta partigiana, ma prima ancora moglie, cercò di seguirlo fino al confine. O la tremenda storia della famiglia Gani, inghiottita dal lager di Birkenau dopo essere stata sorpresa a Seregno, loro milanesi sfollati in Brianza, per colpa della vile soffiata di una spia. Ma ci furono anche i morti “dell’altra parte”. I fascisti repubblichini che avevano seguito l’ultimo Mussolini, quello di Salò. Li ricorda il seregnese Norberto Bergna, che da anni si dedica all’indagine storica sulle esecuzioni di fascisti durante la lotta partigiana.

Giovani e meno giovani, comunisti e cattolici. Fascisti contro partigiani. Brianzoli contro brianzoli. Fratello contro fratello. La storia ha consegnato ai posteri la sua sentenza. C’è chi fu dalla parte sbagliata. E chi da quella giusta. Il 25 aprile è la festa della Liberazione. Da qualsiasi parte la si veda, rappresenta la fine di un incubo. Di una tragedia nazionale. E invece ogni anno divide sempre più, catalogata come la festa di una parte soltanto dell’Italia, mentre l’altra protesta, dissente e distingue. E anche viceversa. Oggi si è figli di quegli italiani che si ammazzarono tra di loro, per difendere un ideale, la libertà o semplicemente per paura. E davanti ai così tanti lutti, davanti a quanto accaduto, il modo migliore di passare il 25 aprile lo suggerisce una riflessione del “Giornale della memoria”: «Ricordare oggi tutte quelle vite troncate, quel sangue corso, quell’odio provato serve a far memoria di quanto bestiale sia la guerra e di quanto sia stato elevato il prezzo di ciò che abbiamo costruito in questi 65 anni: libertà, diritti, stabilità, benessere, pace».
Davide Perego