Il successo raccontato da Bulfaro«La poesia è guerriglia civile»

«La poesia naviga su una piccola barca, da cui si è costretti continuamente a togliere secchiate d'acqua»: il confondatore di PoesiaPresente e Mille gru cinque anni dopo il debutto di un progetto unico.
Il successo raccontato da Bulfaro«La poesia è guerriglia civile»

Monza – «La poesia naviga su una piccola barca, da cui si è costretti continuamente a togliere secchiate d’acqua». E allora serve un comandante che poco impone e lascia a ciascun timoniere la scelta del vento e delle onde e dove dirigere la prua. Basta che lo faccia a voce alta, perché sia chiaro quello che vuole. La pensa così Dome Bulfaro, che qualche anno fa con un manipolo di navigatori ha deciso di dare corpo e rotta a un’esperienza con pochi precedenti in Italia: una realtà associativa che fosse a un tempo attrattore e altoparlante dei conati poetici di un territorio. Monza e Brianza, nel loro caso. E allora è nata Mille gru e ha preso vita PoesiaPresente. «Chi lavora con noi fa poesia scritta e ad alta voce – racconta – Una poesia che trova il suo respiro massimo proprio nella messa in voce. E questo detta la differenza tra noi e gli altri».

Traduzione?
I gruppi letterari sono spesso deficitari sul piano della presenza. Che si traduce in assenza totale. Noi crediamo nell’esserci, nell’esserci in quanto dono. Che significa soprattutto essere attenti a chi viene ad ascoltare. Vuol dire organizzazione. E fare prendere, di conseguenza, forza alla parola.
Non basta…
Vuol dire poeti, designer, registi, organizzazione teatrale e ufficio stampa: prima di proporci come gruppo ci siamo organizzati. Certo non ci aspettavamo di arrivare fin qui. Ma quello che abbiamo sempre immaginato è quanto siamo riusciti a fare: organizzare non un festival, che nasce e finisce in un tempo preciso e ridotto. Ma una stagione poetica: un lavoro lungo sei mesi all’anno, in cui vanno inseriti non solo i momenti pubblici ma anche i tanti laboratori nelle scuole. Nel 2010 sono stati quarantadue. Fino ad arrivare oggi a editare libri.
D’accordo: ma manca un dettaglio. Perché?
Perché per noi la poesia è prima di tutto guerriglia civile. Non uso le parole inconsapevolmente: dico guerriglia perché vuol dire strada per strada, casa per casa, giorno per giorno. E il nostro nemico è la cultura di massa, che livella al basso il sapere togliendole, prima di tutto, sapore. Questo vogliamo: ridare sapore, sale, alla parola prima e all’esperienza individuale subito dopo. Come? Bella scommessa. Non utilizzando i mezzi che condannano la cultura. Non la televisione, per esempio, che ha per natura un rapporto di superiorità rispetto a chi ascolta. Un rapporto diretto: per questo le scuole, dove facciamo tanta attività. Attività sommersa, dove forse la battaglia è più difficile, ma sta pagando. E poi il teatro, dove il rapporto con il pubblico non può che essere diretto.
E i risultati?
I risultati ci sono. Credo che abbiamo costruito un’esperienza unica. Dico di più. Un’esperienza epica. Dove il progetto iniziale ha una prospettiva, quella di un imprenditore, se si vuole, ovvero quella di chi decide di fare un’impresa. Fare impresa vuol dire semplicemente andare verso qualcosa. È quello che vogliamo fare e che stiamo facendo.
Che oggi si è tradotto in una collana editoriale. Dopo “Milano ictus”, il lavoro di Ziba Karbassi.
Nella collana editoriale di Mille gru ci sarà sempre un dvd o un cd audio. Per la voce, che è quella che fa la differenza, per noi, come dicevo. Quando abbiamo pensato al secondo autore ci siamo trovati presto d’accordo su un poeta giovane, e abbiamo pensato subito a un iraniano. Volevamo una risposta da quello che succede in quel Paese e un punto di vista che rappresentasse questo passaggio storico. Il suggeirmento è arrivato da Luigi Necci, poeta triestino. Ci ha indicato Ziba Karbassi. Abbiamo capito subito che era lei.
Poi il contatto, lo scambio di informazioni con Stephen Watts (inglese che già la traduceva) e il volume.
Ne è nato un libro trilingue. E abbiamo organizzato per lei, a partire da Monza, un piccolo tour che la porterà anche a Milano, in radio e ad altre esperienze. Penso sia un lavoro con pochi precedenti.
Già: fare poesia. Ma cosa serve alla poesia per tornare a essere quello che ha significato in Italia fino alla fine dell’Ottocento almeno?
Io credo sia mettere le mani nella terra. Serve un contatto forte con la cultura popolare. Si è dimenticato soprattutto che il poeta deve avere prima di tutto due piedi, due piedi piantati per terra. Occorre mantenere una relazione. Ed è per questo che abbiamo scelto un percorso differente dalla casa della poesia di Milano, che ha un ruolo più istituzionale. Quello che abbiamo fatto è proporrre una linea di ricerca a 360 gradi, alternativa, senza escludere nulla. Ed è fondamentale per noi il legame territoriale: vogliamo i frutti poetici di questa terra, quella che frequentiamo. Per usare un termine corrente, un progetto “glocal”, globale e locale: da qui, Monza e dintorni, guardando fuori. Una relazione tra locale e globale può far nascere qualcosa che irrori il territorio di acqua sorgiva. Qualcosa che alimenti l’albero della poesia.
E allora va bene tutto?
No. È come per l’informazione. Troppa, crea paralisi. Di comunicazione non ce n’è stata mai così tanta. Ma il troppo limita, in realtà, il troppo crea ingorghi. Lo stesso vale per noi. Vale per l’arte, vale per l’architettura delle archistar. E allora qual è la poesia giusta? È vero che l’arte è democratizzata. Ma noi siamo convinti che ci sia un processo in atto e che questo processo si traduca nella poesia da alta voce. Passare da un processo originale e riportarla all’originalità della funzione poetica, il racconto diretto. Fare poesia è poiein, ovvero “fare”, e farlo tutti i giorni. Ad alta voce.
Massimiliano Rossin