Il Nobel a Corti?Due tesi a confronto

Il Nobel a Corti?Due tesi a confronto

Monza – Un lettore, appassionato di libri, ci scrive il suo giudizio sulla scrittura di Eugenio Corti, di cui il nostro giornale, sull’input di una associazione, promuove la candidatura a Nobel per la letteratura. Ospitiamo il suo intervento e la replica di Paola Scaglione, anche lei monzese, che si può considerare la biogarafa dell’artista besanese. Pubblicista, saggista e studiosa di letteratura, ha pubblicato, tra l’altro, I giorni di uno scrittore. Incontro con Eugenio Corti, Milano 1997 (traduzione in lingua francese a cura di François Livi: Parole d’un romancier chrétien. Entretiens avec Paola Scaglione, Lausanne 2000); La Brianza di Eugenio Corti, una terra da raccontare, in La trama del vero. Scritti in onore di Eugenio Corti, a cura di Paola Scaglione, Missaglia (Lc) 2000 (20012), pp. 43-147 Li abbiamo messi a confronto, giusto per riflettere e discutere.

L’intervento di Umberto De Pace
Incuriosito dalla imponente campagna di promozione al premio Nobel dello scrittore besanese Eugenio Corti, portata avanti dalla vostra testata, ho letto il suo voluminoso romanzo storico “Il Cavallo Rosso”. L’ho trovata un’opera molto interessante, di stampo ottocentesco – pur coprendo un periodo storico che va dal 1940 al 1974 – nella quale l’autore dispiega una grande capacità descrittiva, intrecciata da minuziosi particolari, con punte epiche – penso alla ritirata di Russia – e squarci poetici – penso alla descrizione di alcuni scorci della Brianza.
Non voglio però qui entrare nel merito specifico del romanzo, di cui ampliamente avete scritto e citato, ma sottolineare un aspetto dell’opera, tanto evidente quanto, da tutti i vostri interventi, omesso in modo inspiegabile. Mi riferisco ai rimandi filosofici, morali, etici e storici che costellano l’opera, attraverso non solo il pensiero della gran parte dei protagonisti del romanzo ma, spesso, attraverso il pensiero diretto dell’autore, la cui voce fuori campo, a mio giudizio, annichilisce la prosa e la genuinità del racconto.
La disinvoltura con cui l’autore traccia il confine tra il bene e il male in una visione manichea degli avvenimenti, porta inevitabilmente a uno schierarsi delle coscienze e delle conoscenze, che si addice più a un saggio che a un romanzo, pur storico che esso sia. Corti – a differenza dei suoi estimatori – ha il pregio della schiettezza. Non dissimula il suo pensiero, la sua è una crociata contro l’Anticristo, individuato per lo più nel comunismo e in seconda battuta nella modernità. In un volo pindarico dal Concilio di Trento (1545) al referendum sul divorzio (1974) Corti non ha dubbi su dove stia il bene (Chiesa Cattolica, Controriforma, Pio XII, Creazionismo, Patria, famiglia, lavoro) e dove stia il male (Riforma Protestante, Rivoluzione Francese, comunismo e nazismo, partigiani rossi, Costituzione garantista, Concilio Vaticano II, ’68, divorzio, aborto, preti contestatori, sindacati, ACLI, DC corrotta, TV marxista, giornali laici) con punte critico-polemiche che, alle volte, raggiungono il surreale. Dalla summa del pensiero cortiano mi pare non manchi nessuno dei capisaldi dell’integralismo cattolico e della destra reazionaria dell’ultimo secolo.
Corti non è solo l’autore del libro, ma ne è in gran parte il protagonista; cosi come non è stato solo un soldato del Regio Esercito Italiano, ma da sempre un fervente militante cattolico in perenne combattimento spirituale, ideale, etico e politico. Ma qui non è in questione la fede o il proprio credo, quanto la militanza, e come ogni militante Corti è portatore di una visione ideale molto forte e inevitabilmente di parte. Questo può piacere o non piacere, di certo non si può ignorare, perché significherebbe privare l’opera della sua anima. L’impressione che ho avuto a fine lettura è che sulla indubbia capacità descrittiva di un mondo e di avvenimenti conosciuti, prevalesse nell’autore l’affermazione di una verità superiore, trascendente le vicissitudini terrene, quell’unica “Verità” riconosciuta e determinata dalla propria fede. Una “Verità” superiore che porta a semplificare e uniformare un mondo di per se complesso e multiforme.
Opera universale? Trarre dalle proprie o altrui esperienze degli insegnamenti universali che possano essere trasmessi all’umanità intera è un privilegio di pochi; a mio modesto parere, di quei pochi scrittori che hanno saputo accomunare gli esseri umani al di là delle loro distinzioni; che hanno saputo descrivere la Storia, attraverso le storie dei singoli protagonisti, raccontate senza deformarle sulla base delle proprie convinzioni; che hanno saputo guardare all’altro con lo stesso sguardo con cui hanno saputo guardare a se stessi; che hanno saputo scavare a fondo nell’animo umano con le proprie mani nude, senza volerlo modellare a proprio piacimento. Mi pare fin troppo evidente che la strada scelta da Corti non sia quella universale, quanto quella particolare, militante, oserei dire “partigiana” senza volerlo offendere vista la sua idiosincrasia verso il movimento partigiano nostrano.
Romanzo storico? Personalmente lo definirei storico-politico, tenuto conto dell’approccio militante. La storia, che accompagna le vicissitudini del romanzo, ne risulta alquanto forzata. Suppongo che un lettore con scarse nozioni di storia, come sempre più si sta portando ad essere i nostri giovani, leggendo “Il Cavallo Rosso” si convinca che l’esercito italiano nella seconda guerra mondiale fosse impegnato a liberare la popolazione russa dalla dittatura comunista e che il nazismo in fondo sia stata sì una cosa brutta, ma pur sempre conseguente alla barbarie comunista, mentre il fascismo rimane sullo sfondo dell’intera opera, spesso giustificato o minimizzato. Da questo punto di vista è comunque interessante il contributo di Corti, in quanto descrive molto bene quella che definirei “incoscienza” di uno spaccato, sicuramente maggioritario, di società brianzola – ma non solo – verso la dittatura fascista nel nostro paese. Così come sono interessanti altri aspetti di costume dell’epoca e di una mentalità “paolotta” – così definita dallo stesso autore – relativi alla figura della donna e della sessualità, che non saprei definire altrimenti se non disarmanti.
Dal punto di vista strettamente storico mi hanno comunque colpito alcuni fatti, dei quali non ero a conoscenza e che non mancherò di approfondire: gli agghiaccianti atti di cannibalismo descritti nel gulag sovietico di Crinovaia, o sui treni per Cazan, dei quali si resero protagonisti i soldati italiani prigionieri; la crocifissione delle donne tedesche sulle porte dei loro villaggi ad opera delle truppe sovietiche nel corso dell’avanzata finale; le apposite sezioni dei gulag sovietici dedicate ai bambini spagnoli; le uccisioni, nei giorni dopo la Liberazione, di diverse persone negli alti forni della Breda a Sesto San Giovanni.
Concludendo, Eugenio Corti de “il Cavallo Rosso”, rimane per me un grande scrittore, un’improbabile storico e un pedante moralista, quindi pur non aderendo all’appello per il Nobel non mancherò di leggere altre sue opere, visti gli stimoli che ho tratto dalla sua lettura. Ho riflettuto molto sull’opportunità di rendere pubblica questa mia critica, non tanto perché in controtendenza all’imponente campagna di propaganda, quanto per lo scrupolo di essere certo che stessimo parlando della stessa cosa. Per cui ho letto e riletto quanto da voi pubblicato e nuovamente ampie parti de “il Cavallo Rosso”, alla ricerca di dove si annidassero quei valori di “coesione e solidarietà” validi per tutti, quel “ruolo guida della coscienza nazionale”, quella visione della vita “condivisibile da tutti”, quell’ ”universalità” del messaggio. A quanto pare parliamo della stessa opera, ma traiamo conclusioni alquanto diverse, tanto che trovo persino stonato il tentativo di ricondurla indiscriminatamente nell’ambito della stessa comunità cattolica nella quale, sono certo, molti non condividerebbero l’impostazione integralista dell’autore.
Una preghiera infine al mondo politico: ne rimanga fuori per favore. Leggere le dichiarazioni dei consiglieri regionali Carugo (Pdl) sul fare le “lobby” di sostegno o, ancor peggio, quelle di Brambilla (PD) il quale, candidamente, dichiara di non aver letto il libro ma vota per fare “sistema” a favore del territorio, svela, nel primo caso, ciò che sta realmente dietro alla campagna di propaganda, e nel secondo caso è l’ennesima dimostrazione della sciatteria culturale, ancor prima che politica, di chi è deputato a rappresentarci. Bene ha fatto la Lega a rimanerne fuori.
Umberto De Pace