Il brano tratto da Il cavallo rossoPierello torna dalla ferriera di Sesto

Il brano tratto da Il cavallo rossoPierello torna dalla ferriera di Sesto

Uscito dalla stazione s’avviava, sempre con la sua brava cartella sotto braccio, verso casa tra i campi autunnali; malgrado fosse un po’ intontito dalla stanchezza, c’era nei suoi movimenti un che d’accentuato, di pacificamente risoluto, come di persona che sa il fatto suo. Certo lui non aveva studiato economia al pari d’Ambrogio, e non sapeva niente di prodotto nazionale lordo e di percentuali d’incremento, ignorava quindi che – continuando così – sia lui che gli altri operai sarebbero arrivati ad avere, prima d’invecchiare, l’automobile e l’appartamento: anzi, se gli avessero detto una cosa simile, lui non ci avrebbe assolutamente creduto. Aveva però la consapevolezza – e non era poco – d’essere col proprio lavoro vitalmente utile ai suoi, alla propria famiglia: a quella attuale e, quando fosse venuto il momento, a quella futura, che avrebbe formato.

Con la Luisina? Probabilmente sì, con la Luisina. Camminando seguitava, poiché era solo, a tacere come aveva fatto durante quasi l’intera giornata; in realtà non è che gli fosse mancato il modo di parlare, specie in treno; ma a lui, come ad altri, non garbava ripetere cose trite e inutili, col solo risultato di “spendere fiato”. E d’altra parte per uno del popolo come lui che – secondo ci si esprimeva allora – “non aveva studiato”, era difficile parlare di cose meno risapute e usuali, per esempio della sua grande esperienza di guerra e di prigionia. Più volte ci s’era provato: ma si era accorto che di queste cose poteva parlare con costrutto solo con chi era passato per esperienze analoghe. Gli altri non riescono a capirti, a rendersi con chiarezza conto dei fatti che tu riferisci. Questo non soltanto in treno o in fabbrica, ma dovunque, anche al tuo paese, perfino in casa, dove tua madre – pur agitandosi tutta, poveretta – finisce solo col provare una gran pietà per te e per gli altri che ci si son trovati…

Così l’enorme esperienza ch’egli aveva messa insieme, e alla quale ritornava a volte col pensiero (il modo di vivere dei contadini tedeschi, la spaventosa marcia dei profughi prussiani – un popolo intero sradicato dalla propria terra -, la barbarie indicibile di quei combattimenti tra gente che aveva perso il timor di Dio, “Povero cugino Tito ancora in quelle mani!”) tutte queste cose egli era costretto a tenersele soltanto per sé. Forse un’esperienza simile avrebbe finito poco alla volta col dissiparsi, col perdersi? No, adesso egli cominciava ad avere fiducia che no. Grazie alla Luisina, appunto; la quale aveva tutta l’aria di capire le cose, sembrava addirittura le capisse senza dirgliele…

Con lei – quando fosse divenuta sua moglie – ne avrebbe parlato, e forse in tal modo le avrebbe lui stesso capite meglio. Ne avrebbe magari anche, chissà, ricavata una sapienza da trasmettere ai figli, al pari di altri che non avevano studiato, e tuttavia erano più sapienti di tanti dottori e professori. Nei campi l’erba autunnale, destinata a essere tra poco bruciata dal gelo, appariva verdissima, turgida d’acqua: i granturchi, smesso il loro precedente colore maturo, un po’ esotico, ne andavano assumendo uno nostrale tra ruggine e grigio, che richiamava alla mente il colore degli uccelli di passo; i filari dei gelsi si stavano qua e là spogliando e le foglie cadute formavano tante chiazze sulla terra arata al piede dei tronchi.

Ecco la Lodosa, e in fila con gli altri il casale in cui abitava la Luisina, che a quest’ora – rientrata dalla filatura – dava certo una mano alla madre nei preparativi della cena. Finalmente ecco la sua casetta, col minuscolo portico nel quale – sebbene non fosse ancora buio – la finestra della cucina risultava illuminata. Attraversandolo il giovane salutava sempre col capo l’immagine della Vergine di Caravaggio poi, prima d’entrare in casa, si soffermava a guardare per qualche istante attraverso i vetri dentro la cucina.