I ”caravaggeschi”

Monza – Si è conclusa in bellezza e grande stile, martedì sera, la tripletta di conferenze proposte dagli organizzatori della mostra «Caravaggio l’arte al servizio della Parola», a contorno dell’allestimento. Tre serate animate da esperti e appassionati di arte, per meglio comprendere e gustare i capolavori presenti nell’auditorium della chiesa del Sacro Cuore. Protagoniste di martedì sera erano, per la seconda settimana consecutiva, Annamaria Clivio e Barbara Villa, che hanno concluso il discorso sulla figura di Caravaggio, già iniziato con il secondo appuntamento. Centro della serata è stato il post Caravaggio, tutti quegli artisti che direttamente o meno, sono stati influenzati e modellati dal genio di Michelangelo Merisi.

«Sono chiamati “caravaggeschi” quei pittori che ereditano dal maestro il suo personalissimo modo di rappresentare la realtà: fatta di sfondo monocromo con tagli di luce violenti e realismo rappresentato in fieri, con la luce che gioca un ruolo determinante», ha spiegato Annamaria. Sul sentiero tracciato da Caravaggio si sono incamminati molti illustri contemporanei: Orazio Gentileschi, che propone colori lucenti e soggetti divini inserti in contesti reali, proprio come faceva Caravaggio; e poi Bartolomeo Manfredi, Carlo Saraceni e Artemisia Gentileschi, figlia di Orazio, una delle pochissime donne pittrici ricordate dalla storia dell’arte italiana. Straordinario il suo «Giuditta e Oloferne», ritratto nel momento preciso della decollazione dell’uomo, dove il sangue che cola dal collo di Oloferne e sporca le lenzuola del suo letto regale è ancor più vero e crudo di quello dipinto dallo stesso Caravaggio, autore del medesimo soggetto.

Gocce di Caravaggio si ravvisano anche in Velazquez, che usa il chiaroscuro per definire i contorni de «I bari» e de «L’acquaiolo di Siviglia», che caratterizza la scena con uno sfondo monocromo, le figure in primo piano e l’uso della luce. E poi ancora Rembrandt, che «fa un uso psicologico della luce per rappresentare il momento – continua la Clivio – come è evidente nella “Lezione di anatomia”». La luce che taglia e definisce i corpi torna prepotente anche nella «Zattera di Medusa» di Gericault, «La fucilazione» di Goya e «La Libertà guida il popolo» di Delacroix. «Dopo la sua morte, nel 1610, Caravaggio finì dimenticato fino al 1900, ma anche gli artisti dell’Ottocento non dimenticarono la lezione di Merisi – ha aggiunto Barbara Villa -. Lui seppe trovare i suoi maestri nella natura e nel mondo di tutti i giorni, non fermandosi alle lezioni del classicismo». Ed è questo ad averlo reso immortale.
Sarah Valtolina