Giussano, Giulio Cavalli e la mafiaAttore presenta libro di denuncia

Giussano, Giulio Cavalli e la mafiaAttore presenta libro di denuncia

Giussano – È sceso dal palcoscenico per raccontare la sua storia e quella dei suoi spettacoli. Giulio Cavalli, trentatreenne milanese, in “Nomi, cognomi e infami” pubblicato con Verdenero per Edizioni Ambiente, intreccia la sua alle altre storie di personaggi di ieri e di oggi. Nel libro, presentato a Giussano ieri sera, giovedì, su invito dell’associazione Libera, ufficialmente nata in città proprio in quest’occasione, non c’è soltanto Cosa nostra e la Sicilia, ma c’è soprattutto la ‘ndrangheta che da decenni è forte in Lombardia. “Nomi, cognomi e infami” inizia quattro anni fa, quando Cavalli andò a incontrare Rosario Crocetta, allora sindaco di Gela, appena scampato all’attentato che avrebbe dovuto ucciderlo, «lui omosessuale dichiarato, fervente cattolico e per giunta comunista». «Gela è la città di Italia con il più alto tasso di criminalità organizzata e ha addirittura due tipi di mafia, Cosa nostra e la Stidda – ha detto Cavalli -. Un problema anche del Nord, visto che le famiglie dei Rinzivillo e degli Emmanuello hanno molti dei loro fiancheggiatori nella nostra regione». Da anni vive sotto scorta, per un eroismo «figlio della avidità lombarda» ma non ha smesso di fare nomi e cognomi: quelli del Gaetano Badalamenti, che non riesce a sopportare la satira di Peppino Impastato, di Toto Riina che nelle fiction televisive cavalca cavalli bianchi, «mentre nella realtà è basso, rosso in volto e non conosce un congiuntivo», quello di Bernardo Provenzano, il boss dei boss, che aveva un potere enorme ma era costretto a rintanarsi tra coppole e santini. E poi tanti altri nomi fra cui quelli di geometri e funzionari comunali del Nord che interloquiscono con la mafia. Scritto «per cercare di mettere un po’ di ordine nella mia vita», il volume parla anche di uomini veri, giornalisti, sindaci, magistrati, parroci. Esortando i lombardi ad alzare la testa, parla dell’attentato di via D’Amelio, di Pippo Fava, del coraggio di Peppino Impastato, di Rosario Crocetta, della mafia al Nord «di cui si fa ancora fatica ad ammettere l’esistenza e amministratori locali dicono non ci sia». Non il magistrato a Palermo, a Milano o a Catania e nemmeno il politico ma un attore, che, con formazione teatrale che scaturisce dalla commedia dell’arte, intende dimostrare che come «quei giullari del ‘500 che con i loro quattro stracci riuscivano a dimostrare quanto il re fosse nudo», così anche i suoi spettacoli sono la testimonianza che si può parlare di certi temi in modo diverso e dare fastidio alla criminalità semplicemente con una risata liberatoria, che «sbriciola l’onore e annienta la credibilità».
Federica Vernò