Copenhagen, FranceNel mondo di Micol

Cantautrice, italiana, giovane. In studio di registrazione per il secondo disco dopo un debutto che ha convinto i critici musicali e, intanto, pronta per presentare un lavoro inedito. È Micol Martinez, che porta Copenhagen in Francia (sabato 29 ottobre a Seregno).
Copenhagen, FranceNel mondo di Micol

Cantautrice, italiana, giovane. In studio di registrazione per il secondo disco dopo un debutto che ha convinto i critici musicali e, intanto, pronta per presentare un lavoro inedito. È Micol Martinez, milanese, trentenne. Stile alla Cristina Donà, testi che raccontano «una parte nascosta» di lei, storie del quotidiano che si trasformano in riflessioni, versatilità musicale per suonare rock, folk o pop, ruvida, dolce o distorta. Senza mai perdere di vista la musica d’autore. Martinez ha esordito un anno fa col disco “Copenhagen” e ora presenta “Copenhagen en France”. Ovvero la trasposizione in francese dei testi che hanno conquistato pubblico e critica. Già, in francese. Ma nulla a che vedere con le lolite del pop d’Oltralpe e pure, ça va sans dire, con il sussurro alla Carla Bruni.
Il debutto sarà sabato 29 ottobre al Tambourine di Seregno e chi acquisterà il biglietto riceverà il cd in omaggio (ingresso 5 euro+tessera Arci, alle 22 in via Tenca 16). Replica il 2 dicembre a Milano all’Arci Bellezza.

Da Milano all’Europa e ritorno: racconta.
«Il primo album, Copenhagen, nasce da una forte necessità espressiva – dice – La scrittura di musica e il canto sono un canale per dare voce a una parte nascosta di me. A volte, la successiva lettura dei testi e il riascolto di ciò che scrivo, mi aiuta a raccogliere particolari, sensazioni, pensieri che, senza la musica, nemmeno io capirei fino in fondo. Scrivere, in questo senso, è terapeutico: mi aiuta a conoscermi e a capire dove sono. I testi nascono da eventi del quotidiano, per trasformarsi poi in riflessioni sull’essere umano. Come la canzone Copenhagen, sulla paura e l’effetto che la paura dell’uomo può avere sull’uomo stesso e sulle persone che lo circondano».
Perché il titolo Copenhagen?
«Per una ragione fonetica, perché è una canzone contenuta nel disco, perché è una città portuale quindi rappresenta l’incontro di più culture. Nel disco canto Mercanti di parole che è avvolta da sonorità mediterranee, Copenhagen ha invece sonorità più fredde e nordiche».
E il francese?
«Durante la lavorazione del disco in italiano pensai di registrarlo anche in francese: ho passato l’infanzia a Parigi, la lingua francese è la prima che ho sentito al di fuori della famiglia. Sono legata a Parigi come si è legati ai primi ricordi d’infanzia. La mia idea era di far pubblicare il mio esordio in Italia e contemporaneamente in Francia (non mi sarebbe dispiaciuto tornare a vivere lì). Di fatto, poi, sono stata presa dall’uscita italiana e non mi sono più occupata della cosa. Poi l’ho ripreso, così invece di lasciare un progetto a raccogliere polvere… perché non regalarlo?».
Com’è il live?
«Il cd, per quello che riguarda la base musicale, identico a quello italiano, ma il cantarlo in francese dona un sapore nuovo. Canzoni come Il vino dei ciliegi o Stupore sono, a mio avviso, più efficaci in francese. Il concerto di sabato sarà molto simile ai live presentati fino ad ora, ma ci sarà qualche sorpresa: Stupore completamente diversa, qualche altro brano ampliato e modificato. Inoltre faremo un brano in anteprima del nuovo disco».
Che cosa ascolti?
«La mia musica, come sempre accade, è il risultato dei miei ascolti. Sono cresciuta in un ambiente familiare dove esisteva solo il cantautorato doc da De André a De Gregori e Endrigo, da Fossati a Brel e Cohen. Poi, nel pieno della ribellione adolescenziale mi sono avvicinata al punk, al dark e al rock anni 60/70 – dai Ramones ai Kinks, dai Cure ai Misfits, dai Velvet Underground agli Smiths, dai Clash a Siouxsie and the Banshees – per poi naufragare nelle proposte britpop e trip hop anni 90 – Suede e Portishead – e infine spaziare in tutto l’universo indie rock. E ancora Sonic Youth, Radiohead, Deus, Sparklehorse, Iggy Pop and the Stooges e un milione di altri. Amo molto Nick Drake e tra le voci femminili Fiona Apple e Lisa Gerrard».
Stai lavorando al secondo album, che uscirà nella prima parte del 2012: prosegue sulla linea del primo o…?
«Sì sono in sala di registrazione. E no, il nuovo album non segue la linea del primo. In questo lavoro ho voluto mettermi a nudo, interamente. È una produzione un po’ più scarna perché l’intenzione, questa volta, è di cogliere ed esprimere l’essenziale. Amo molto il primo disco, ma sento la necessità di mostrare parti non emerse in quell’occasione. Copenhagen è un disco molto prodotto e questo a volte può andare a discapito dell’essenza. Ho scelto di non decorare le canzoni, di non sovraccaricarle di vestiti e ornamenti ma, al contrario, lasciarle vivere della sola loro luce. Nel nuovo lavoro la voce non è più sempre su un registro basso – interessante da un lato, dall’altro priva di quelle luci e ombre che caratterizzano una voce naturale femminile – ma viaggia su molti registri in modo da permettermi di esprimere ogni sfumatura a pieno. L’esperienza mi ha reso più libera. Mi sono presa meno sul serio e ho lasciato che la canzone dettasse legge. Credo che questo mio divertimento si avverta nell’ascolto delle canzoni. Inoltre ho voluto lasciare accordi di chitarra e cantati esattamente come sono nati tra le mura di casa mia, proprio per mantenere la purezza e l’essenzialità del momento della loro creazione. Approfitto per ringraziare i due squilibrati (scherzo) che al momento, nella saletta qui accanto, stanno lavorando alla produzione artistica dei pezzi: Guido Andreani e Luca Recchia. Ringrazio altrettanto Alessio Russo, Giovanni Calella, Raffaele Kohler, Zita Pheto e Francesco Arcuri che stanno suonando (o suoneranno a breve) in questo nuovo album».
Artista a tutto tondo: cantante, attrice di cinema con un film da protagonista al festival di Locarno (Tagliare le parti in grigio), teatro e videoclip (Negrita, La Crus), autrice del progetto grafico del tuo disco. Come ti sei avvicinata all’arte e quando hai deciso, o capito, che avresti fatto questo per lavoro?
«Certamente provo passione per più forme di espressione, ma la musica è da sempre il mio luogo dell’anima. Il teatro è meraviglia, viaggio nel mondo e nel tempo, e certo anche nell’essere umano. Ma sono parole scritte da altri. La canzone è viaggio, scoperta di sé, gioco della parola, l’uomo e la sua – per tornare alla domanda sul nuovo disco – essenza, che sia a tratti leggera, pesante, dolente, scherzosa o strafottente. Ora, a differenza del mio primo approccio a un disco, per me il lavoro è dare voce ad ogni parte dell’io».
Sei milanese. Milano può tornare a essere un buon posto dove fare musica e viverla?
«“Tornare ad essere” è corretto. Ho lottato con tutte le mie forze per fare qualcosa a Milano (sono stata una delle persone che ha dato vita al movimento Milano l’è bela), ho scritto comunicati, organizzato con altri, concerti e iniziative a favore della musica e della cultura. Forse Milano non è ancora pronta a sollevare un’unica voce. Spero lo sarà presto. Per fortuna ci sono già tante persone che stanno facendo qualcosa in proposito. Di certo la situazione non è più sopportabile. Sono anche stanca di aspettarmi qualcosa dall’amministrazione comunale. L’esigenza deve arrivare con forza dal basso. Vedremo».
Al contrario, si sono affermate esperienze come Parola Cantata a Brugherio che hanno fatto vedere come la musica d’autore (e la voglia di parlarne) non sia passata di moda. Cosa c’è che non va?
«Non è passata di moda. È semplicemente sbiadita. Troppe informazioni, troppa dispersione, troppa poca professionalità, troppo… troppo tutto. Ci sono persone, associazioni e artisti che cercano per fortuna di sostenere la qualità, tenendo in piedi un sistema di cose che deve ancora trovare un nuovo metodo, perché il mondo e il sistema in cui viviamo non è più lo stesso. Dai booking alle etichette a tutti gli addetti ai lavori agli stessi artisti. Me compresa. Io non ho risposte in proposito. Solo domande. E se le domande sono giuste…».
Su Facebook citi Carroll: “Che strada devo prendere per uscire da qui?” chiese Alice. “Dipende da dove devi andare” rispose lo Stregatto. Tu dove vuoi andare?
«Sono confusa a riguardo. Per questo cito proprio quella frase. Vorrei essere tutto ciò di cui ho bisogno per non avere più bisogno: è una frase di una mia nuova canzone, e mi scuso per l’autocitazione. Al momento il come lo intuisco soltanto. Ma se vedo lo Stregatto, lo chiedo a lui».
Chiara Pederzoli