L’editoriale del direttore: no ai lavoratori, sì ai ricchi e agli “alloggi di charme”. Così siamo arrivati alle ferie a prezzi folli

Le spiagge? “Troppo care”. I ristoranti? “Un furto”. Alberghi e trasporti? ”Inavvicinabili”. Già, ma perché?
Cristiano Puglisi
Cristiano Puglisi

È cominciata la litania estiva degli italiani, “benestanti” brianzoli inclusi, alle prese con l’organizzazione delle ferie. Le spiagge? “Troppo care”. I ristoranti? “Un furto”. Alberghi e trasporti? ”Inavvicinabili”. È sufficiente “scrollare” su Facebook per veder comparire ovunque scontrini e prezzari. Solo sceneggiate a favore di social? Macché, tutto vero, purtroppo. Ma, tra un lamento e l’altro, quasi nessuno che si chieda come siamo arrivati a questo punto. Sarà utile, quindi, rinfrescare la memoria ai novelli “capipopolo” in infradito, svelti oggi a inveire contro le conseguenze ma meno ieri a stigmatizzarne le cause.

Dove erano questi “risvegliati” quando i soliti sapientoni da copertina ci raccontavano che l’Italia doveva puntare sul turismo dei ricchi e che di questo poteva vivere? O quando gli urbanisti ci dicevano che in alcune località non servivano più lavoratori e portuali sudati (e relative industrie, che sfamavano intere famiglie) ma che le loro case andavano convertite in alloggi “di charme” per abbienti e profumati signori? Chissà, forse ad applaudire, in un borghese impeto di conformismo. Peccato che, se in un posto qualunque si attirano frotte di gente disposta a pagare il triplo del consueto per uno spaghetto allo scoglio, è normale che il mercato locale poi si adegui. Non è la malafede di qualche “furbetto”, è solo capitalismo.