Un archivio digitale per la Monza dei cappelli: «Salviamo la nostra storia»

Fabrizio Vimercati, uno degli ultimi artigiani del cappello a Monza, lancia un appello per costituire un archivio digitale della storia dell’industriale di settore in città.
Monza Cappellificio fratelli Vimercati
Monza Cappellificio fratelli Vimercati Fabrizio Radaelli

Le ciminiere dei cappellifici occupavano l’orizzonte: succedeva ai primi del Novecento, quando Monza era l’indiscussa capitale del cappello. Tanto che poco meno della metà dei suoi circa 50mila abitanti all’epoca in quel settore lavorava.

E in quel mondo, nei suoi anni d’oro e nel suo declino, è custodita parte preziosa della storia della città. Una storia che vale la pena riscoprire, ricordare e condividere. “Monza e il Cappello” nasce così: dall’impulso «di raccogliere ricordi e testimonianze di chi ha lavorato negli storici cappellifici della nostra città»: lo spiega Fabrizio Vimercati, che una settimana fa ha lanciato l’iniziativa sui social (instagram, facebook e relativo gruppo) con l’intenzione di creare un nuovo archivio digitale.

«Un’idea che avevo in mente da tempo – spiega il monzese, 41 anni – e che ho finalmente deciso di concretizzare. Per collezionare tutti i ricordi di chi ha lavorato nei cappellifici, o che ha avuto parenti che ci hanno lavorato, prima che scompaiano dalle memorie».

Un archivio digitale per la Monza dei cappelli: «Salviamo la nostra storia»
Monza Cappellificio fratelli Vimercati

Sul gruppo social scrive: «Sarà un lavoro enorme, ma con l’aiuto di tutti potremo creare un archivio unico della nostra città. Invitate persone e presto iniziamo», raccogliendo in fretta l’entusiasmo di tanti altri monzesi. Obiettivo finale quello di arrivare a pubblicare ricordi e storie, ma anche aneddoti. E qui Vimercati entra in gioco in prima persona: è uno dei titolari della Vimercati Hats che dal 1953 trasforma il feltro – ma non solo – in copricapi. Un’azienda artigiana a conduzione familiare ora arrivata alla sua terza generazione. Vimercati lo precisa subito: quella di “Monza e il Cappello” è un’iniziativa tutta sua, personale. Come personalissimi sono i ricordi di un’infanzia trascorsa nei locali di via Macallè, ancora oggi sede dell’azienda, dove si andava «non appena si finivano i compiti» e dove «si respirava il profumo dei cappelli e l’odore del feltro». Dove ha imparato ad amare quello che sarebbe stato il suo mestiere.

«Un archivio da creare non solo prima che svaniscano i ricordi delle persone, ma anche prima si cancellino dal nostro territorio i segni del suo passato industriale», commenta riferendosi al futuro che potrebbe toccare anche alla ciminiera dell’ex feltrificio Scotti di vialone Battisti. Ma alcune ciminiere, simbolo di archeologia industriale, in città resistono ancora: le si incontrano ad esempio in piazza Cambiaghi, dove sorgeva l’omonimo cappellificio. «Forse all’epoca il più conosciuto -precisa – Fondato da Giuseppe Cambiaghi, nei suoi anni d’oro dava lavoro a oltre 1.500 persone». Ma a Monza c’erano anche le realtà fondate da Ricci, Paleari e Ferrario, Valera, Carozzi, Villa. E se nel “Censimento industriale del 1911” (pubblicato in “Una città del lavoro”, Giuseppe Longoni, 1987, Cappelli editore) in cui si dava conto delle imprese con più di quaranta addetti – 66 in totale – i cappellifici erano sedici, ventuno le filature e le tessiture e sei i nastrifici e le altre fabbriche tessili, non si fatica allora a immaginare come si sia potuti arrivare al record del 1920, con due milioni di cappelli realizzati in un anno.

La produzione inizia a decrescere negli anni Cinquanta, per poi arrestarsi (quasi) completamente negli anni Settanta. Quasi: perché Vimercati ha continuato la sua attività. «In passato il cappello era un accessorio di massa, estremamente diffuso. Ora – conclude – rappresenta un mezzo per esprimere la propria personalità».