Seregno, il Cai omaggia Renzo Cabiati dopo mezzo secolo: in diciotto salgono la vetta fatale

L'occasione è stata un'uscita con meta il Pizzo del Diavolo di Tenda, dove si verificò l'incidente che il 2 giugno 1974 costò la vita al ventenne, cui è intitolata la scuola di alpinismo sezionale
Tutti i protagonisti della due giorni in ricordo di Renzo Cabiati

A mezzo secolo di distanza dalla sua scomparsa, la sezione di Seregno del Cai ha omaggiato la figura di Renzo Cabiati, il giovane alpinista originario del quartiere del Lazzaretto, vittima di un incidente in montagna il 2 giugno 1974, quando aveva appena 20 anni. A Cabiati, cui è intitolata la scuola di alpinismo sezionale, è stata dedicata la due giorni sulle Alpi orobie vissuta da diciotto partecipanti, che ha previsto anche la salita del Pizzo del Diavolo di Tenda, la vetta fatale.

Cai: l’omaggio alla targa che ricorda Cabiati

La foto di gruppo davanti alla targa a 2.700 metri di altezza

Quattro dei presenti, tra i quali Piercamillo Cabiati, fratello di Renzo, si sono fermati a quota 2mila 700 metri sul livello del mare, dove si trova una targa che fa memoria di quella giornata ormai lontana nel tempo, ma mai dimenticata da chi ancora oggi interpreta quel dramma come una ferita. Qui è stato deposto un mazzo di fiori ed è stata recitata una preghiera per Renzo. Gli altri quattordici amici della montagna, invece, hanno quindi raggiunto materialmente la cima.

Cai: scelta la via normale per la salita

Il gruppo in cima

L’uscita in un primo momento era stata calendarizzata all’inizio di giugno, proprio in concomitanza con l’anniversario del decesso, ma le condizioni meteo avverse avevano reso indispensabile un suo rinvio. Il gruppo, che comprendeva anche Giuseppe Milesi, che della scuola di alpinismo “Renzo Cabiati” è il direttore e che, coordinando la sua attività didattica, ha avvicinato molti giovani all’alpinismo, si è mosso verso la vetta sabato 7 settembre, nell’unica giornata di tempo favorevole del weekend, salendo per la via normale. «Ci siamo incamminati -hanno spiegato a posteriori alcuni dei protagonisti- con l’obiettivo di accompagnare Piercamillo alla targa posta all’inizio della cresta. Lì, guardando quella lapide, ci siamo accorti di quanto sia bella e pericolosa la montagna: mortale e vitale in egual misura. In ogni caso, bellissima e poetica ai nostri occhi. Piercamillo ci ha poi salutati ed è tornato alla base, che era il rifugio Calvi, mentre noi abbiamo proseguito fino alla cima».