Monza, nella terra dei legnamé nessuno assume i falegnami carcerati

L'appello lanciato dagli attivisti radicali impegnati dentro la casa circodariale monzese: aiutate gli ex detenuti a rifarsi una vita

Dietro le sbarre, imparano l’arte di lavorare il legno, diventando dei legnamé esperti: ma quando escono dal carcere, nessuna azienda del legno brianzola è disposta ad assumerli. A denunciare una stridente contraddizione sono gli attivisti Radicali impegnati per risolvere i problemi che affliggono il carcere di san Quirico a Monza. Una delegazione ha lanciato un appello dopo una visita alla casa circondariale monzese: «Nel carcere di Monza – spiegano Simona Giannetti, Emilio Colombo e Francesco Pasquariello – c’è una grande falegnameria quasi perfetta che potrebbe diventare il luogo di lavoro di un’azienda, che nella Brianza dei mobilifici avrebbe a disposizione macchinari e risorse: basterebbe che si sapesse e si trovasse il contatto». Accompagnati dal consigliere comunale di Monza Paolo Piffer e dall’assessore alle politiche sociali di Cologno Monzese Antonio Velluto e dalla consigliera comunale Maria Caroleo, hanno effettuato un sopralluogo dentro un luogo – oggi più che mai – di sofferenza. Un fattore di rinascita – in una terra dove un mestiere definisce l’identità stessa di una persona – potrebbe essere il lavoro: “Ebbene: nella patria dei legnamè, la Brianza, non si riesce a trovare un’azienda disposta a investire nell’attrezzata falegnameria del carcere monzese.

Nella terra dei legnamé, la direttrice Buccoliero: l’officina carceraria fattore di rinascita

Un punto in realtà sottolineato anche dalla direttrice dell’istituto penitenziario Cosima Buccoliero, che ha osservato come “la falegnameria del carcere con le sue macchine molto professionali ben si presterebbe a permettere un’attività lavorativa”, ma che “non si sta ancora riuscendo a trovare aziende del mobile e del legno disposte ad assumere detenuti per alcuni nodi non semplici da sciogliere”, come “la richiesta spesso di manodopera già formata, o la difficoltà di dare continuità al rapporto lavorativo del detenuto una volta che esce dal carcere”. Eppure la falegnameria carceraria ha già dato moltissimo in termini di formazione e nella realizzazione di prodotti di valore sociale. Nata per iniziativa di Cooperativa Sociale 2000 nel 2008, ha formato in 16 anni decine di detenuti, grazie agli insegnamenti di maestri falegnami. A tenere dei corsi di falegnameria sono l’Iis Meroni di Lissone e la Fondazione Casa dello spirito e delle arti di Arnoldo Mosca Mondadori, che impegna diversi detenuti nel realizzare rosari, con il legno recuperato dai barconi dei migranti.