“Densità mafiosa”, a Monza e in Brianza è ai massimi livelli con Milano e Como

I risultati del "Monitoraggio" realizzato dall'osservatorio Cross (Università Statale di Milano) di Nando dalla Chiesa con Cgil Lombardia
Nando Dalla Chiesa
Nando Dalla Chiesa

Tra “ubiquità economica mafiosa” e la ricerca del “varco” dove tutto è cominciato per la Lombardia malata di ’ndrangheta la prognosi non migliora. Anzi.

Il termometro della “densità mafiosa” nella seconda regione in Italia per fatturato delle organizzazioni criminali, quella calabrese su tutte, dopo la “casa madre”, già da un paio d’anni non ha più il “livello 5”, quello più basso della scala. Sondrio e provincia sono passate al livello quattro. E poi, nelle posizione più elevate, “livello 1”, alla “compagnia”, Milano e Monza e Brianza, si è unita Como. La mappa è quella ormai classica del “Monitoraggio” realizzato periodicamente dall’Osservatorio sulla Criminalità organizzata dell’Università degli Studi di Milano.

“Densità mafiosa” a Monza e in Brianza, il monitoraggio di Cross con Cgil Lombardia

La firma è di Nando dalla Chiesa con Andrea Carnì, Marco Colombo, Filomena De Matteis e Mattia Maestri. Un’edizione, presentata lunedì, realizzata con la collaborazione di Cgil Lombardia (con la somministrazione di un questionario a iscritti e simpatizzanti del sindacato sulla percezione dei fenomeni mafiosi o illegali sui luoghi di lavoro in Lombardia con oltre 18mila risposte).

In generale, se emerge “l’assoluto dominio della ’ndrangheta”, concentrata soprattutto nella zona occidentale della regione, i ricercatori di Cross hanno individuato un “nuovo attivismo” di Cosa nostra e di diversi gruppi camorristici. L’azione criminale avviene attraverso una “violenza e bassa intensità”, con un incremento generale denotato dai cosiddetti “reati spia”.

Economia mafiosa in Lombardia tra caporalato nella logistica e riciclaggio

In Lombardia l’economia mafiosa si rivela in tutte le forme classiche: il “caporalato” che ha invaso il settore delle costruzioni ma anche commercio e logistica, con quest’ultima che è diventata un importante tassello “negli interessi dell’offerta criminale e mafiosa nella grande distribuzione”.

Non può mancare il riciclaggio “con diverse segnalazioni di bar e ristoranti che effettuano ristrutturazioni e anche cambio di proprietà in tempi brevi”. Ulteriori “segnali”, secondo la ricerca, sono poi rappresentati “dall’aumento sensibile di società immobiliari” e ancora da “legami di indagati o condannati per mafia con le società sportive dilettantistiche”. E infine, “sullo sfondo, sanità e farmacie”.

Economia mafiosa a Monza e in Brianza: “Sei locali di ‘ndrangheta in 200 chilometri quadrati”

A Monza e in Brianza, come a Milano e Varese, un contesto in cui l’economia criminale è ormai ramificata ovunque, l’“ubiquità economica mafiosa” appunto, le “famiglie” si sono ad esempio insinuate nell’edilizia, con “un boom di imprese che aprono e chiudono in breve tempo”. L’analisi settoriale svela una situazione ormai incancrenita nella zona occidentale, con “sei locali di ndrangheta in 200 chilometri quadrati, tra Desio, Giussano, Lentate, Limbiate, Monza e Seregno”.

Ma l’attenzione si è accesa anche nella parte orientale, con “casi di riciclaggio e presenza di soggetti legati a cosa nostra e camorra”, e poi “l’aumento delle società cartiere”, quelle che emettono fatture fasulle per riciclare denaro sporco.

Economia mafiosa, il monitoraggio Cross: i risultati del questionario agli iscritti Cgil Lombardia

La mafia? Per la stragrande maggioranza (84%) è una “organizzazione criminale”. Ma c’è anche chi (5,4%) pensa sia una “tipologia di impresa”, forse ironicamente, ma anche un “fenomeno socio culturale” (23%) e un “sistema illegale” (66%). Sono alcune delle tipologie di risposta, chiusa, proposte agli oltre 18mila iscritti e simpatizzanti di Cgil Lombardia, il 9% dei quali di Monza e Brianza, che hanno aderito a un questionario proposto nell’ambito della ricerca Cross.

Ventidue i quesiti complessivi proposti a un campione molto variegato, sia in termini di età che di formazione e attività. Il 25% dice di essere venuto a conoscenza “di fatti di illegalità in ambito lavorativo”, il 6,5% di “atti riconducibili al fenomeno mafioso” come intimidazioni e minacce, oltre il 7% del mancato rispetto di norme fiscali/contributive, contrattali o di “pratiche corruttive di funzionari pubblici e/o dirigenti dell’azienda di lavoro”.