Il bisogno d’amaredi Giovanni Allevi

Il bisogno d’amaredi Giovanni Allevi

C’è la storia di tutta l’umanità che si è in qualche modo intrecciata con la sua vita nelle composizioni di Giovanni Allevi. Il pubblico monzese ha salutato il genio ascolano con il calore che si riserva a un vero amico. Difficile, se non impossibile, non entrare in empatia con il compositore più controverso del panorama musicale contemporaneo: una certa critica lo detesta, ma la gente lo ama. Perché lo sente vicino.

Il concerto di venerdì sera in Villa reale ha offerto alla musica per pianoforte un pubblico finalmente molto giovane. Il merito va certamente al giovane pianista che è stato capace negli anni di avvicinare persone di tutte le età a partiture notevolmente complesse anche per i più esperti, dove tutto sembra improvvisato, e invece nulla è lasciato al caso. Allevi è una svolta nella musica classica contemporanea. L’esibizione ha avuto i connotati di una serata tra amici nel salotto del pianista, con lui che ha raccontato suonando i momenti ispiratori delle sue composizioni. Eventi emotivamente intensi divenuti alla tastiera vere e proprie immagini.

I suoi pezzi sono infatti istantanee catturate dal quotidiano, rivissute nella mente e nell’anima, ridisegnate e restituite agli altri attraverso le note. Sempre diverse così come gli stati d’animo possono cambiare repentinamente da un momento all’altro. Allevi ha regalato un’ora e mezza della sua vita partendo da Japan, scritta quando aveva solo 17 anni, e trascinando la platea verso un nuovo modo di intendere la composizione pianistica pur omaggiando la tradizione classica con Sogno di Bach.

Il resto è stato un susseguirsi di emozioni per il ricordo degli esordi, del suo minuscolo appartamento a Milano allietato da un raggio di sole la mattina (che sul pentagramma è diventato Monolocale 7.30), della nostalgia durante le notti lontano da casa consolato solo dalla luna, e dell’inizio dei riconoscimenti con l’esperienza americana, ad Harlem, che gli ha ispirato il repertorio di No Concept. Ogni brano di Allevi si sostiene su sintassi sempre diverse che sembravano portare la firma di autori differenti. E invece è sempre lui l’artefice, dominatore del contrappunto, mai scontato, che si esprime a voce attraverso frasi fluide miste a discorsi sincopati, pianista filosofo che parla di quando faceva il cameriere, e poi cita Heidegger. La ragione di vita di Giovanni Allevi sono le note, il ritmo, il fraseggio. La carta da musica e la tastiera l’unico mezzo di espressione per lui concepibile.

Nell’apice dell’esibizione, con L’ orologio degli dei, Jazzmatic e Piano karate si è perfettamente colto il suo credo esistenziale: un totale bisogno di amare.
Sabrina Arosio