La storia dei nostri numeri 1Westerveld, da Liverpool al Brianteo

La storia dei nostri numeri 1Westerveld, da Liverpool al Brianteo

Monza – Non ci sono più i portieri di una volta. Crisi di vocazione e talenti nella terra che vide sbocciare i Castellini, i Terraneo, più di recente gli Antonioli o gli Abbiati. Ma anche i meno celebrati Marconcini e Mascella, Breviglieri e Anzolin. O il Tino Corno degli anni Cinquanta, ultima trincea del Monza di Giambelli e Del Signore, Dazzi, Colombetti, Sergio Magni, Pasolini. Niente e nessuno che si possa neppure lontanamente paragonare con i più recenti estremi difensori del nostro orticello.

Non reggerebbero il confronto, i Righi, i Carrara, i Concetti, i Rottoli che hanno scandito le ultime stagioni biancorosse. Oggi a Monzello, per rimediare all’incertezza nel ruolo più delicato di una squadra, si ricorre a un giovanotto che a ottobre compirà 35 anni, Sander Westerveld. Un perticone olandese di 190 centimetri, dal passato illustre (ha un curriculum internazionale da far tremare i polsi) e dal presente tutto da verificare. Bocciato il ventenne Marcandalli, che ambiva non senza fondamento a farla da titolare dopo il rientro da Gallipoli e il buon precampionato, sotto tutela Rossi Chauvenet, neppure considerata l’ipotesi Sala, troppo inesperto.

Si vede che è destino, la storia recente del Monza in tema di portieri ha sempre oscillato tra psicodrammi e pochade, rivalità feroci (Righi-Carrara; poi Carrara-Concetti) e “papere” non infrequenti. Da ragazzo, all’oratorio di San Gerardo, giocavo da attaccante.

Ero mingherlino e molto tecnico, vinsi perfino la classifica cannonieri del Tocaramo – il torneo calcistico tra gli oratori monzesi – , ma curiosamente ero attratto dal fascino della maglia numero 1. Per la quale ero decisamente negato. Il mio idolo, l’emblema del sogno segreto e mancato, era Guido Menni, monzese di via Bergamo. Un acrobata che a dispetto della modesta statura s’arrampicava sulle nuvole per afferrare l’inafferrabile. Giocava nella Canarina, mica in serie A, nella mia personalissima hit parade precedeva mostri come “kamikaze” Ghezzi, lo juventino Viola, Lorenzo Buffon.

Oggi Guido vola ancora, sì, ma verso i settant’anni e ogni volta che lo rivedo, nell’abbracciarlo, è come se stringessi la mia (e sua) perduta gioventù. Una volta, avevo nove anni, mi capitò di seguire da dietro la porta un allenamento del mitico Giorcelli. Ex Bologna, era venuto in Brianza a regalare gli ultimi bagliori d’una bella carriera. Fungevo da timido raccattapalle. Ero così incantato dai suoi tuffi che dimenticavo di correre a recuperare i palloni.

Lo stesso incantamento avrei riprovato davanti alle prodezze di Bob Levati, un gigante di una eleganza innata. Perfino in braghe imbottite e ginocchiere d’ordinanza (arnesi che oggi non usano più) conservava il fascino e lo stile di un Lord Brummel. Mi commuovo al pensiero, forse perché ad ammirare il fenomenale Bob, per faccia e fisico antesignano dello 007 per eccellenza, mi accompagnava all’allora san Gregorio, a piedi tenendomi per mano da via Enrico da Monza fino ai “popolari”, mio papà Andrea. Pa’, te lo dico, ma da lassù avrai già visto da solo. Non ci sono più i portieri di una volta.
Giancarlo Besana