"Sono troppo occidentali", studentesse arabe rimpatriate

"Sono troppo occidentali", studentesse arabe rimpatriate

Monza – Rimpatriate dai genitori per evitare che si occidentalizzino troppo: è successo negli ultimi anni ad alcune studentesse di origine araba residenti in Brianza. Il fenomeno è raro: cinque-sei casi nell’intera provincia, di cui almeno uno a Monza.

Dal consiglio provinciale c’è allora chi suona un campanello d’allarme: giovedì il leghista Luca Viviani ha proposto al presidente Dario Allevi di istituire un numero telefonico e un osservatorio in cui operino mediatori linguistici e culturali in grado di supportare le ragazze e le donne straniere che intendono seguire uno stile di vita europeo. «Insegno grafica al Gadda di Paderno Dugnano e parlo da docente, non da politico – spiega il consigliere – ci sono alcune alunne provenienti da famiglie islamiche che vestono come le loro compagne, con la maglietta che lascia la pancia scoperta e magari hanno il piercing, e ce ne sono altre che vivono la loro condizione in modo conflittuale con i genitori».

Viviani fa l’esempio di studentesse che cercano di nascondere al padre il loro sviluppo per paura di essere costrette a portare il velo e di altre che evitano di uscire troppo spesso con le amiche per paura di essere spedite in Nordafrica: «Conosco il caso di due ragazzine di dodici-tredici anni mandate dai nonni in Egitto. Eppure i loro genitori sono ben integrati – aggiunge – mi chiedo come potranno ambientarsi in una realtà completamente diversa da quella in cui sono cresciute». L’insegnante fa notare che quando le madri condividono lo stile di vita delle figlie le tensioni si stemperano: «Un osservatorio con i mediatori culturali potrebbe aiutare le giovani e le donne a scegliere come vivere – chiarisce Viviani – occorre però essere molto attenti e intervenire con molta delicatezza, come sempre quando si ha a che fare con i minori». La proposta non dispiace a Paolo Pilotto, consigliere provinciale del Pd e insegnante di religione al classico Zucchi: «Ho sentito anch’io di alcune studentesse rispedite in Nordafrica dai nonni o, addirittura, con la mamma – conferma – ho l’impressione che spesso più che il fattore religioso giochi quello culturale che tende a enfatizzare le apparenze. A volte, anche se i segnali di difficoltà delle giovanissime non sono immediatamente visibili, qualche problema in casa esiste».

L’eventuale osservatorio dovrebbe però avere caratteristiche ben precise: «Non dovrebbe essere un sportello per ragazze di cultura diversa che chiedono aiuto – precisa – dovrebbe essere un luogo di vera mediazione culturale in cui lavorino insieme persone che capiscono la cultura dell’altro». L’idea è accolta con scetticismo da Mario Marcante: «Da noi non abbiamo mai notato problemi – afferma il preside del Mosè Bianchi – credo che più di una sorta di Telefono azzurro a cui aggrapparsi in situazioni disperate sia opportuno parlare con le famiglie. Noi coinvolgiamo nei nostri progetti i genitori di tutti gli alunni in quanto l’integrazione si favorisce dando una speranza di vita».
Monica Bonalumi