Ndrangheta, soldi a strozzoper un ristorante di Monza

Monza – Anche un ristoratore monzese nella morsa degli strozzini della ‘ndrangheta. Si tratta del titolare di un locale nel quartiere San Biagio, il cui nome compare nelle carte dell’inchiesta che ha portato in carcere 300 persone in tutta Italia, e che ha fatto luce sul fenomeno della malavita organizzata calabrese in Lombardia e in particolare in Brianza. Il ristorante di San Biagio viene citato a proposto degli episodi di usura ed estorsione contestati a parte degli indagati. Particolarmente attivo in questo settore viene considerato Francesco Crivaro, 47 anni. “Affiliato alla cosca di Erba, è un trait d’union tra i soggetti che hanno disponibilità di credito e coloro che materialmente mettono a disposizione il denaro richiesto”, scrive il gip milanese Andrea Ghinetti nell’ordinanza che ha mandato in carcere 158 persone. Secondo quanto emerge dalle carte dell’inchiesta, Salvatore Indaimo, 32 (detto Giò, indagato solo per usura, non per associazione mafiosa), su richiesta di Francesco Crivaro, mette a disposizione “dell’organizzazione con a capo Giovanni Pasquale Varca”, somme di denaro, anche di una certa entità, da “destinare chiaramente per operazioni relative ai prestiti”. Nel caso del ristoratore monzese, si tratterebbe del prestito di 30mila euro in contanti, a fronte del quale il “beneficiario” avrebbe consegnato 12 assegni postdatati (uno al mese), dell’importo di 3330 ciascuno, con cui si sarebbe impegnato a restituire, nei dodici mesi successivi, un totale di 39.960 euro. Quindi la cifra ricevuta in prestito, maggiorata dal 33% di interesse annuo: “largamente al di sopra del tasso soglia”. A riscontro delle accuse, ci sarebbero alcune conversazioni telefoniche. Il 21 luglio dell’anno scorso, Crivaro e Indaimo concordano un incontro nel ristorante di San Biagio, al quale avrebbe partecipato anche Pasquale Varca, 46 anni. Non un personaggio qualunque, ma il presunto «responsabile del locale di Erba», direttamente collegato alla «cosca madre » degli Arena-Nicoscia di Isola di Capo Rizzuto, nel crotonese. Un soggetto che intrattiene rapporti stretti con alti esponenti delle ‘ndrine calabresi, tanto che viene accertata la sua presenza in importanti summit di mafia documentati in meridione dai carabinieri di Reggio Calabria. Non un ‘soldato’, ma un capo: «impegnato in svariate attività illecite, narcotraffico, usura, ricettazione, traffico di banconote false; uno con disponibilità di armi, spesso strumento indispensabile nelle situazioni di conflitto».
 f. ber.