Il Novecento al di là della tela”A carte scoperte” in galleria Cart

Il Novecento al di là della tela”A carte scoperte” in galleria Cart

Monza – Quando sedeva alla batteria con i Triple trip touch voleva suonare e ascoltare la partitura che esplodeva, le corse armoniche che si increspavano diventando rumori, sentire l’improvvisazione che rompeva il canone classico delle subordinate per diventare un unico, solo, momento di individualità sovrapposte. Si chiamava free jazz, di là dall’oceano, e forse lo aveva inventato Ornette Coleman negli anni Sessanta. Di certo lo suonavano Archie Sheep e Max Roach. Aveva i suoni del primitivismo e della libertà, era la musica del black power ed era quella che A. R. Peck, quando si trovava davanti alla tela, traduceva in immagini selvagge e furiose, spingendo più lontano le sue radici neoespressioniste: di qua dall’oceano, in Germania, in quella dell’est che lo aveva visto nascere e che lo aveva tenuto lontano dalle accademie come avrebbe fatto la zadnovcina vent’anni prima in Unione Sovietica. Poi in quella occidentale, infine in Irlanda e negli Stati uniti: sempre con quelle pennellate pittografiche e totemiche la cui eredità è tutta nei Neven Wilden.

La mostra – A.R. Penck è solo una delle firme del Novecento che si possono vedere alla galleria Cart di via Sirtori 7 da sabato scorso, quando è stata inaugurata “A carte scoperte”, mostra di opere su carta appartenenti alla collezione di Giorgio Viganò e Calogero Ninotta, i titolari del nuovo spazio espositivo monzese. Sono una quindicina i lavori esposti fino alla fine di marzo e abbracciano gli ultimi cinquant’anni di espressioni artistiche internazionali. Faccia a faccia con Penck c’è Andy Warhol in uno dei suoi celebri camouflage («qualcosa di astratto ma non davvero astratto», lo definiva il padre della pop art), militare nelle forme e nei colori e datato 1987. Tra i due, altrettante pareti di piccoli grandi lavori che abbracciano Italia e non solo. Come un grande monocromo di Mario Schifano (datato 1961/62) e “Tritone meditante” di Luigi Ontani, una “Linoleumgrafia” di Mimmo Paladino e un lavoro di Nicola De Maria, o ancora Sandro Chia, Fausto Melotti, Nicola de Maria. Poi Alighiero Boetti che gioca con una progressione numerica (“Da uno a dieci”, primi anni Ottanta) con una serie di carte quadrettate e geometricamente colorate, studi sullo spazio e sulla ripetitività simmetrici alle sue opere maggiori, realizzate con acquarelli e inchiostro di china su fogli e nati come esercizio didattico per insegnare ai bambini a contare.

Oltre le Alpi – Fuori dai confini Matthew Weinstein e un lavoro di Daniel Spoerri, Fritz Wotruba in un piccolo, rarissimo e straordinario inchiostro preparatorio del 1945: nell’austriaco ancora tracce evidenti del figurativo per quello che sarà poi riconosciuto soprattutto per il lavoro astratto e le forme basiche, come nella celebre chiesa (la “Chiesa della santa Trinità”) di Mauer. E poi Christo, con un’opera composita: una “Packed fountain” del 1972, ovvero la fotografia ritoccata a tratti e colori dell’installazione progettata in quell’anno per il Festival dei due mondi di Spoleto, dove la fontana è realmente coperta da una tela e legata con una corda.
Massimiliano Rossin