”Mancata reindustrializzazione”Vimercate, sciopero alla Bames

Nei volantini distribuiti ai cancelli figura un lunghissimo elenco di motivi per lo sciopero di otto ore che venerdì 15 aprile ha visto incrociare le braccia ai duemila lavoratori del sito ex Celestica.
”Mancata reindustrializzazione”Vimercate, sciopero alla Bames

Vimercate – Nei volantini distribuiti ai cancelli figura un lunghissimo elenco di motivi per lo sciopero di otto ore che venerdì 15 aprile ha visto incrociare le braccia ai duemila lavoratori del sito ex Celestica. Il primo della lista, ‘mancata reindustrializzazione’, è quello che riassume tutti gli altri, che dà conto di uno stallo che perdura dal 2006 e che nel tempo ha prodotto l’effetto contrario al rilancio, lo svuotamento progressivo del comparto. Ai cancelli d’ingresso di via Kennedy, a Velasca, nel corso dei mesi sono però cresciute le targhe d’intestazione di aziende e dittarelle che hanno preso domicilio nel sito: “Sono solo contenitori vuoti, scatole che il gruppo Bartolini continua a impilare ma che non contengono nulla”, chiosano Gigi Redaelli, segretario generale Fim Cisl Monza Brianza, e Claudio Cerri, segretario generale Fiom Cgil Monza Brianza.

“Sa cosa sono? Sono lapidi, requiem per la produzione e per l’occupazione che vanno calando di mese in mese”, è stato il triste sarcasmo dei lavoratori, dei tanti cassintegrati di Bames-Sem. Trecento su seicento a casa invece che in reparto, con l’azienda che prevede di perdere altre commesse e di ampliare la cassa integrazione straordinaria di altre cento unità. “La scorsa settimana non abbiamo siglato questa richiesta, c’è stato il mancato accordo, a questo punto compete al Ministero del Lavoro prendere visione della richiesta unilaterale dell’azienda –ha detto Cerri- Che il Ministero chieda a Bames-Sem il perché di questa domanda di aumento della cassa, che chieda conto dei piani industriali sempre in ritardo e sempre disattesi”.

Dal primo piano di rilancio, del 2006, a oggi, ci sono stati solo sei mesi senza cassa integrazione, e “a febbraio, quando scadrà la cassa, saremo praticamente a sei anni su sei, credo sia l’unico caso in Italia”, ha conteggiato Cerri, come dire che basterebbero anche solo questi numeri per dare prova dell’inadeguatezza del progetto avviato e gestito dalla proprietà del gruppo Bartolini. Con lo sciopero di ieri i lavoratori hanno messo avanti un altro passo nella mobilitazione che rimarrà fino a quando la ripartenza del sito non sarà davvero avviata. “Vogliamo mantenere alta l’attenzione, vogliamo che le istituzioni seguano da vicino le nostre sorti e che, ognuno per la propria competenza, prenda le proprie responsabilità e inverta una rotta che altrimenti porterà questo sito allo svuotamento”, hanno ripetuto le rsu.

Ora lo sguardo è puntato sull’incontro che il Ministero dello Sviluppo economico si è impegnato a convocare entro Pasqua, con Regione, Provincia e Comune, per sondare la possibilità di dare vita a un accordo d’area, di mettere a disposizione risorse pubbliche per favorire l’ingresso di nuovi soggetti industriali e rimettere in piedi il sito di Velasca e il territorio. “Una cosa è certa, che non potrà più essere Bartolini a gestire il futuro di questo sito”, ha concluso Cerri.
Anna Prada