Monza, Brioschi e Fioravanti «Il nostro Enzo Jannacci»

Oggi sono due dei più noti musicisti jazz italiani. Ma Marco Brioschi e Riccardo Fioravanti sono cresciuti musicalmente con Enzo Jannacci: ecco chi è stato il cantautore milanese nelle loro parole e nei loro ricordi. Tra il palco di Sanremo e una moto.
Enzo Jannacci
Enzo Jannacci

Tornava dal servizio militare e c’era mezza rivoluzione in giro. No, niente cosacchi, solo la sanità che cambiava e a Milano c’era da trovarsi un altro medico della mutua. Riccardo Fioravanti era andato agli ufficiali uffici officianti e aveva guardato l’elenco. Tra una I e una K c’era persino una J e a leggere tutto vedevi “Vincenzo Jannacci”. «Il musicista?». «Sì, ma non c’è mai, è sempre in giro a cantare». «Allora è quello che fa per me».

Perché Riccardo Fioravanti era già musicista allora e lo sarebbe stato per sempre, ancora oggi, forse il più importante contrabbasso del jazz italiano, milanese di nascita e brianzolo d’adozione. «Andavi da lui e per un’ora magari si parlava, si scherzava. Poi faceva il suo lavoro di medico. Lo faceva benissimo. E infatti mi ha curato una duodenite».

Prima ancora di curargli, per così dire, la passione per la musica, se mai una cura c’è, «insegnandomi come stare su un palco, come gestire il pubblico, come non essere mai scontato». «Un padre musicale», taglia corto Fioravanti parlando di Jannacci, senza lasciarsi prendere la mano dall’emozione nel giorno dei suoi funerali, «perché sapevamo come stava » e poi perché è chiaro, lui piagnistei non ne avrebbe voluti. Allora i ricordi, le lezioni prese in studio dove «inutile cercare la perfezione, per lui contava l’emozione, buona la prima, quello che veniva fuori era giusto», mentre sul palco «occorreva divertirsi, sempre una scaletta diversa, che magari ti diceva mentre stavi andando in scena».

La lezione più grande, «il rispetto per i musicisti, come a Sanremo, dove sono stato con lui due volte: la prima nell’orchestra, nel 1991, era l’anno dei duetti internazionali. Gli artisti stranieri erano molto attenti all’orchestra, quelli italiani meno. Ma Jannacci no, ringraziava sempre ». «Poi nel ’98 eravamo io e lui sul palco, con “Quando un musicista ride”. Io ero nervoso, a Sanremo arrivano e ti buttano in scena. Ma Enzo, lui no: rideva e scherzava, aveva sempre una buona parola per tutti. Una persona incredibile». Insieme Fioravanti e Jannacci avrebbero fatto tanto, prima e dopo, e si sarebbero detti tanto. «Mi piaceva farlo parlare di Milano, in viaggio, di quella Milano scomparsa, e lui amava raccontare. E credo anche sapesse che lui e Gaber avevano lasciato un segno importante ». E mille eredi, musicisti inclusi. «Se n’è andato sereno. Anche negli ultimi tempi. Ha sempre detto di essersi divertito, nella vita».

«Quante volte si sono visti stormi di uccelli volare verso climi più caldi, tutti insieme, i buoni con i cattivi, i genitori con i loro piccoli, chiamandosi forse per nome. Qualche anno fa, uno di essi ruppe la sincronia dello stormo per venire vicino a me, non voleva cibo, non voleva affetto, non aveva fretta, si fermò perché io lo potessi ascoltare mentre intonava il suo canto libero da schemi, alto come le ultime stelle, puro come acqua surgiva, morbido come il suo bimbo più piccolo. Cantò per poco e scomparve lasciandomi un buco nel cuore. Lui è un volatore di aquiloni. Si chiama Marco Brioschi ».

Una poesia scritta e firmata da Enzo Jannacci composta per la presentazione del libro “Appunti di viaggio” dell’amico e trombettista monzese Marco Brioschi. «Enzo Jannacci è stato per me un secondo papà e il primo a livello musicale – raccontava lunedì – L’ho conosciuto tanti anni fa, quando ero un ragazzino, e mi chiamarono per suonare in un sestetto tradizionale al Club 2, un locale di Milano. Era un uomo e un artista straordinario, dotato di una grandissima umanità e di un profondo e sincero rispetto nei confronti di chi lavorava per lui». E poi come nella musica aveva orecchio, così nella medicina ci azzeccava sempre.

«Ricordo di quando ero in tournée in Sicilia con Fiorella Mannoia – ha proseguito – La sera durante il concerto mi si gonfiò la caviglia che quasi non riuscivo a stare in piedi. Chiamai subito Enzo che, senza indugi, mi disse di recarmi in ospedale e di farmi fare un ecodoppler. Ero molto agitato, lontano da casa, nel pieno di una tournée. Durante la giornata di pausa la Mannoia mi fece accompagnare in una clinica a Roma, mi fecero un approfondito check up che confermò quanto Enzo mi disse il giorno prima. Non avevo nulla, era solo causato dal forte stress».

L’ultima telefonata pochi giorni prima che morisse, «ero insieme a Tullio De Piscopo, lo chiamai e glielo passai perché Enzo, quando Tullio era agli esordì, lo aiutò». Il ricordo di Jannacci si riaccenderà ogni volta che Brioschi salirà su quella Kawasakyi Ldt che Jannacci gli aveva regalato una quindicina di anni fa. «Rimase a bocca aperta quando gli raccontai che avevo messo anche la quinta marcia – ha concluso – Lui infatti neppure se ne era accorto che quella moto aveva cinque marce e felice era andato fino in Francia ingranando solo la quarta». Almeno non era andato a Como per niente.