La notte passa veloce sull’unità mobile della onlus. Ed ogni notte è sempre diversa, pur uguale nella routine del servizio. Diversa perché diverse sono le persone, e le storie, che gli operatori incrociano. Uguale perché il tipo di assistenza deve garantire continuità ed estrema professionalità, con protocolli precisi, dettagliati. È la notte sulla strada degli educatori della cooperativa “Lotta contro l’emarginazione ”, realtà di Sesto San Giovanni che da anni si occupa per Monza e molti altri comuni della Brianza di prostituzione e tratta delle persone, in stretta collaborazione con enti pubblici, sanitari e sociali e forze dell’ordine. Un servizio che è divenuto in parte anche diurno, perché ormai la prostituzione di strada non è più solo nelle ore serali. A sostegno dell’intervento c’è l’impegno del Dipartimento delle Pari opportunità della Presidenza del Consiglio, che finanzia attraverso apposito bando annuale, ma anche i contributi locali, a singoli progetti, della Fondazione della Comunità di Monza e Brianza. Stretta pure la collaborazione con gli Ambiti territoriali.
A Monza l’impegno della onlus passa in particolare da viale delle Industrie e dalla zona tra viale Lombardia, via Po e via Campania, dove la prostituzione é ormai di casa. Eppoi nel resto della Brianza ci sono le principali direttrici di traffico, dalla Monza-Saronno alla Statale dei Giovi. Gli operatori la chiamano, a tutti gli effetti, “mappatura”. Perché una mappa della prostituzione c’è e si può tracciare in modo chiaro, se si parla di strada. Altra cosa è il sommerso di quelle donne che esercitano nelle abitazioni. Lì gli operatori cercano sempre di aver un quadro della situazione, monitorando persino le inserzioni sui giornali. Ma è sempre tutto molto complicato. Sulla strada c’è l’immediatezza: gli operatori avvicinano le ragazze con un furgone, si fanno conoscere, mettono a disposizione le loro competenze invitando alla prevenzione e sollecitando controlli sanitari. Stretta la collaborazione con il presidio socio-sanitario di Muggiò, che fa da riferimento.
Altra cosa sono quelle donne che scelgono di svincolarsi da quella vita e chiedono aiuto. «Nell’immaginario comune si parte dal presupposto che tutte siano costrette a prostituirsi, ma non è sempre così» spiega Valeriana, 31enne di Cologno Monzese, tra i tre operatori sociali, due donne e un uomo, impegnati per la onlus sul territorio brianzolo.
Certo, il fenomeno della tratta é in crescita e gli operatori sono impegnati anche su questo fronte. Sono soprattutto le ragazze nigeriane ad esserne vittima, ma non è affatto facile avvicinarle. E in molti casi la scelta, e il coraggio, di cambiare vita, arrivano dopo molto tempo dall’incontro con gli operatori, magari su un altro territorio, lontanissimo da qui. L’importante è che avvenga: che siano altri operatori a raccogliere i frutti dell’impegno dell’unità mobile, poco importa.
Accade anche l’opposto, talvolta. «Una ragazza nigeriana – raccontano dalla onlus – é arrivata da Roma alla nostra postazione, qui in Brianza, con un foglio accartocciato tra le mani, sopra aveva annotato il nostro numero. Era stata un’amica a darglielo, visto che lei voleva smettere di prostituirsi e aveva bisogno di aiuto». Ecco, spesso è il passaparola tra le prostitute a portarle dagli operatori. Funziona meglio di qualsiasi fredda brochure. L’obiettivo prioritario resta quello della riduzione dei danni sul fronte della trasmissione dell’Hiv e della altre malattie sessualmente trasmissibili. L’informazione resta un fetta consistente dell’attività degli operatori, nella convinzione che il diritto alla salute é di tutti. Ma poi, le storie sono altra cosa. Quando una ragazza “esce dal giro”, che sia un giro voluto o imposto, inizia un altro cammino. “Lotta all’emarginazione” gestisce anche alcuni spazi protetti. Dove compiere i primi passi per incamminarsi su una strada diversa. Com’è successo a J.
La storia di J. Abiti succinti, eccessivi, estranei a lei e alla sua anima africana, dove i colori sono vivacità e tradizione, non certo ammiccamento. E una scheda telefonica. É quello che si ritrova tra le mani, o meglio, è quanto viene consegnato come pass per una nuova vita al suo arrivo in Italia a J., 21 anni dichiarati. Forse ancora meno all’anagrafe. Una vita lontana dalle promesse fatte. Lei raggiunge l’hinterland di Milano nel settembre 2013, con altre ragazze della sua età e viene destinata a un appartamento dove vivono altre giovani e una donna sui 30 anni. Tutte nigeriane, come lei. É qui che scopre il suo futuro: niente lavoro da operaia in una fabbrica, o al massimo baby sitter precaria, ma una vita a tempo pieno sulla strada. Una scelta obbligata per ripagare il debito contratto con chi le ha promesso un futuro migliore e l’ha fatta arrivare sino qui: 45mila euro.
Una cifra spaventosa, per arrivare in aereo, con un visto, che però le viene subito strappato dai sui aguzzini, così come il passaporto. Le giovani nigeriane vittime di tratta spesso arrivano da contesti rurali poverissimi, dove comprendere con esattezza il valore di una moneta che non si è mai vista risulta impossibile. Realtà dove la privazione culturale ed economica é così elevata che basta un’amico di famiglia in grado di rassicurare, promettere, un’altra esistenza (e un rito antico che obbliga alla fedeltà a una madama che già aspetta altrove), per credere davvero a un futuro migliore. Perché in un contesto simile non è neppure preventivata la diffidenza, il dubbio. E in un attimo il sogno di un’esistenza diversa, diventa truffa. E poi tratta. All’insaputa delle vittime e delle loro famiglie, che spesso investono tutto quello che hanno nel viaggio della speranza. È la storia di J. E di tante altre. Ma per J. qualcosa cambia.
I primi tempi sono un inferno. Nessuno su cui contare. Persino le altre ragazze nigeriane sono un nemico. La controllano, sulla strada e in casa. Ogni attimo. Sono le stesse che le insegnano poche parole italiane. Il linguaggio del mestiere, i trucchi per contrattare con il cliente. Termini imparati a memoria. Meglio non pensare, del resto. Ogni settimana, tra Milano e la Brianza, J. deve portare a casa mille euro: 800 per l’organizzazione, 200 per pagarsi pure l’affitto in quella casa dove persino i muri le sembrano mostri. In cerca di un momento di normalità e conforto, J. entra in contatto con una comunità nigeriana, dove un pastore e la sua famiglia diventano per lei un riferimento importante. A loro riesce a confidare la sua vita, o meglio, la vita che altri le hanno imposto. E proprio loro chiamano gli operatori di “Lotta all’emarginazione onlus”. Oggi J. è in una comunità protetta ed è al centro di un percorso verso quella vita che le era stata promessa in Nigeria. Ma questa volta senza inganni. Una vita dove ha ritrovato gli abiti colorati della sua tradizione e il futuro in un lavoro.