Un concerto gratuito, per la città e per tutti gli appassionati, di teatro ma anche di musica. Perché il cartellone della stagione 2017/2018 del teatro Manzoni è un interessante volo panoramico su prosa, musica, danza, comicità e altri percorsi: un grande contenitore culturale che avrà in un concerto di Paolo Jannacci (nella foto di Simone Galbiati) e la sua band un momento di condivisione aperto a tutti.
Giovedì 5 ottobre, dalle 20.30, la sala di via Manzoni – gestita dalla scuola civica Borsa e affidata alla direzione artistica di Paola Pedrazzini – propone infatti un omaggio di Paolo a Enzo. Il figlio che celebra il padre, certo, ma anche l’artista (jazzista, compositore e arrangiatore) che si mette in gioco e che, con la sua impronta personale, gioca a sua volta con la storia e l’estro del grande padre. Senza rimanerne travolto.
Paolo, che cosa regalerà a Monza nel concerto al “Manzoni”?
Sarà una serata di musica, ma anche di poesia, con brani di mio papà ma non solo. In questo periodo sono molto ispirato da testi di Paolo Conte, che rifaccio volentieri. Li sento miei, belli da eseguire e belli a ascoltare. Cerco di fare cose che mi piacciono in particolare, solo così credo di riuscire a trasmettere al pubblico la capacità di saperli apprezzarli. Penso a “Parigi” a “Fuga all’inglese”, testi scoperti da poco tempo. La proposta di “In concerto con Enzo” è un mix tra sonorità e jazz, secondo i miei standard, per ricordarlo, perché i suoi brani non cadano mai nell’oblio. In fondo, quei brani, io li ho visti in massima parte nascere, plasmarsi. Così posso trasmetterne tutto il valore.
C’è un brano di suo papà che le appartiene più degli altri?
Parto sempre da “Musical”. Ci sono cresciuto, erano gli anni Ottanta ed ero piccolo. È un brano difficile, neppure capito. Anzi, diciamo proprio che ha avuto risultati pessimi. Ma è un testo bello. E ora lo si riscopre, come spesso accade quando viene a mancare un artista.
Nella vita di ogni giorno, cosa le manca di più di suo papà?
Eh…(pausa lunga), i nostri modi di dire, ma anche il potersi confrontare su tematiche e aspetti importanti della società. Insomma, mi mancano sia le stupidate tra noi, da cui nasceva un legame sempre più forte, sia il confronto serio con lui.
Lei, anche rispetto ad altri figli d’arte, appare un “erede risolto” del patrimonio artistico di suo padre. E lo trasmette con il desiderio mai nascosto di volerlo ricordare. Senza cancellare la sua professionalità di musicista.
Sto facendo il mio percorso, pur con le mie difficoltà In effetti suono da ormai 30 anni. Fa strano, ma è vero, avevo 17 anni all’inizio. Ho vissuto Enzo Jannacci come padre ma anche come produttore teatrale, ci siamo fidati l’uno dell’altro, anche in tal senso. Cosa non scontata. Non ho mai vissuto male la mia posizione di artista “figlio di”. I confini poi non sono così pragmatici e ora sto anche vivendo il canto come mezzo di comunicazione più immediata rispetto alla musica. Ho fatto una lunga gavetta come Paolo e questo mi permettere anche di vivere oggi bene il ricordo perenne e scanzonato di Enzo. Ripercorro con piacere le modalità artistiche che caratterizzavano i suoi concerti. Lui, in ogni esibizione, cercava la differenza. Cercava di fare l’evento unico, per alzare il livello di ogni cosa, anche culturalmente. Insomma, per creare sempre qualcosa di nuovo. In fondo, è proprio questo il vero valore dell’artista.