La sollevazione di Milano del 18 marzo 1848 fu l’epilogo di un malcontento latente ma diffuso contro il governo austriaco, che avendo fin dal 1815 seguito una politica repressiva dei fatti esteriori, imprudenti, occasionali, ed emanato ordini draconiani contro le società aveva esasperato e irritato tutti. Il movimento ebbe immediata eco non solo nel Lombardo-Veneto, ma in tutta l’Italia, giacché i volontari accorsero dalle località più remote. Nel territorio circostante, ove la notizia si propagò in un baleno, suscitò una gara di ardimento, di valore e di eroismo. In tutte le città e in tutti i borghi un fremito di rivolta infiammò gli animi; i sentimenti di libertà, le aspirazioni all’indipendenza a lungo repressi, esplosero con un sincronismo sorprendente.
Monza non fu da meno delle altre città, come ci narra la cronaca degli avvenimenti, di N.G. sulla “Rivista di Monza” del 1936. Sebbene il presidio fosse molto grosso, aveva, riguardo alla popolazione un battaglione del reggimento Geppert – sebbene gli abitanti, in maggioranza operai occupati negli stabilimenti industriali fossero sprovvisti di armi – mentre nei centri rurali e specialmente nei territori montuosi, i contadini, amanti della caccia non avevano rinunziato ai loro fucili tenendoli ben celati e lontani dagli occhi vigili della polizia e al momento opportuno li avevano fatti saltar fuori e avevano fatto tremare i presidi che non si erano voluti arrendere. Monza non volle rinunziare alla lotta impari e a portare il suo contributo di valore e di sangue alla causa della libertà e dell’indipendenza.
Le notizie giunte da Milano il 18 suscitarono un fermento straordinario; provocarono, il 19, dei tafferugli con morti e feriti, tanto che il 20 fu una giornata di lutto, di cordoglio e di trepidazione, perche vedevano l’impossibilità, da soli, di costringere alla resa la forza armata decisa a difendersi.
Ma il 20 marzo, quando giunse a Monza una schiera di lecchesi e di brianzoli, i monzesi presero coraggio, e, pur disarmati, non indietreggiarono ne esitarono a prestar tutto l’aiuto che era loro possibile perchè l’odiata guarnigione fosse disarmata e si accorresse in aiuto di Milano.
È vero che l’Ottolini (Ottolini Vittore. La Rivoluzione Lombarda 1848 e 1849. Milano, Hoepli, 1887, p. 167) narra che quando la truppa schierata in piazza del Mercato ebbe l’ordine di far fuoco, un graduato italiano intimò ai suoi di non obbedir e di gettare le armi e che tutti eseguirono questo ordine; ma le testimonianze dei contemporanei e di quelli che si trovarono direttamente o indirettamente nella mischia, narrano i fatti diversamente e affermano concordemente che vi fu una lotta accanita che durò ben quattro ore e non un semplice scambio di fucilate.
Oltre la testimonianza di Francesco Sirtori di cui si occupò il compianto prof. Giuseppe Riva in un articolo apparso sulla “Sera” del 24 marzo 1899, ecco quanto scrive il Comitato di Pubblica Sicurezza di Monza, in data 25 marzo 1848 al governo provvisorio di Milano: L’esempio della eroica Milano ebbe un’eco in Monza, ed ogni cittadino fu animato a disarmare, a respingere lo straniero. Fino dal 19, comparse le truppe imperiali sulla maggiore piazza in aspetto minaccioso, tutta la città si pose in un generale allarme, e sarebbe tosto venuta alle mani se questa popolazione manifatturiera non fosse stata quasi del tutto sprovvista di mezzi di offesa. A sedare però la moltitudine concitata, i buoni cittadini fecero ogni sforzo per ottenere la guardia civica, la quale non fu possibile attuare poiché il maggiore (Sterchele) comandante i 900 uomini del cessato reggimento Geppert comandò che all’uopo si facesse fuoco sopra la popolazione, di nulla temente; ed infatti eseguì varie scariche dalle quali si ebbero alcuni morti e più feriti. Il 20, ognuno si apparecchiò alla necessaria difesa ed alla vendetta, il 21, sopraggiunta, una scorta di lecchesi,
proruppe la pubblica indignazione, e di concerto con quelli dopo una viva resistenza e un fuoco di più ore, si giunse a completamente disfare le truppe dello straniero e a disarmarne la massima parte meno il maggiore che con una cinquantina trovò scampo a vergognosa fuga. Al 22 le campane suonarono l’allarme, e tutta la popolazione di Monza e dei dintorni accorse, alla meglio armata, sotto le mura della eroica Milano in aiuto, per quanto
E l’oste Carlo Bedoni, in data 22 marzo, così si esprime in un reclamo al Comitato di pubblica sicurezza in Monza: « Il terribile sanguinoso combattimento successo ieri e fuori e nell’interno specialmente dell’osteria della Posta Vecchia in questa città, fu causa d’immensi danni non solo ne’ mobili, ma benanco nel caseggiato di cui il sottoscritto ne è conduttore », E infine altra testimonianza si ha da Enrico Rovere, custode della caserma comunale detta il Quartiere vecchio, ove si trovavano depositati gli effetti della terza e della quarta compagnia del reggimento Geppert.
Queste due compagnie, forse perchè composte in maggioranza di italiani,
il 18 mrrzo erano rientrale a Milano e sostituite, il 19, dalla Settima e dall’ottava. Il 21, narra il Rovere, queste nuove compagnie « Si portarono sulla piazza del Mercato in unione all’allora forza, lasciando a custodia della, suesposta caserma un sergente ed un caporale con circa 10 uomini i quali venivano comandati dal caporale e dalle ordinanze degli ufficiali di dette compagnie. Accadde quindi il glorioso combattimento in cui veniva disarmata in piazza Mercato tutta la soldatesca.
Appena liberatisi dalla guarnigione austriaca, il primo pensiero del Comitato fu quello di inviare, in compagnia della colonna lecchese accresciutasi nel frattempo con nuovi arrivati, un gruppo di cittadini alla volta di Milano, e di provvedere Monza delle difese opportune per respingere un ritorno offensivo dei soldati fuggiti o di altri che fossero venuti da Milano o da altre parti; e perciò nella notte sul 22 marzo, iniziarono la costruzione di barricate: si costituirono delle squadre di 8 o 10 operai e a capo di ciascuna pose una persona fidata e competente, in modo che le barricate fossero costruite secondo la tecnica migliore:. Per avere il materiale necessario, si mandò una squadra a tagliare le piante sulla strada da S. Biagio a Lissone, a Muggiò e a Torneamento.
Si lavorò giorno e notte e fra il 22 e il 23 marzo ne furono fatte parecchie tanto che chi avesse pensato di assalire Monza avrebbe trovato una resistenza formidabile. Ve ne erano nel cortile del municipio, a Porta Nuova presso la casa Durini, in piazza S. Maria in Strada, presso la farmacia Mantegazza nella contrada del palazzo Comunale, nella piazzetta del pretorio, in piazza S. Pietro Martire, nella contrada S. Pietro Martire, nella contrada Carrobiolo, nella contrada Augusta, nel bastione presso la casa altra volta Carminati, alla discesa del bastione presso S. Orsola e al dazio di S. Biagio e presso la casa del parroco: nella parte del collegio Bianconi, all’imboccatura della strada per Muggiò, Lissone, Carrobiolo e Prato d’Arena, nella strada del ponte di Lecco fino alla fine del selciato, all’imboccatura della strada di Concorezzo e di Agrate, al terraggio porta Lodi e nella contrada di Lodi casa Grassi.
Su ognuna di queste barricate furono poste sentinelle tratte dalla guardia civica che fu pure istituita e vi stavano giorno e notte.
Di tutta quest’opera il Governo Provvisorio di Milano fu particolarmente informato e rispose con una lettera in data 26 marzo, già edita nell’Archivio Triennale delle Cose d’Italia, vol. ITI., della quale ci piace riprodurre la prima parte, perchè rappresenta il meritato riconoscimento ufficiale del patriottismo dei Monzesi :
« Un saluto di gratitudine e d’affetto anche ai fratelli di Monza! Noi sapemmo il vostro riscatto in sull’ultime ore della nostra sanguinosa lotta, e i particolari che ne raccogliemmo da qualcuno di quei lecchesi e brianzoli, i quali, come appena poterono entrare nella nostra città, vennero ad offrirci il loro fraterno aiuto, valsero a confermare il nostro coraggio. Voi vi siete mostrati degni di questi meravigliosi tempi, degni di questa rigenerata Italia… ».