La storia di Vivian Maier fa storia a sé. Quando nasce, nel febbraio del 1926, la fotografia ha digerito gran parte della novità che l’aveva accompagnata dalla nascita e non aveva ancora fatto i conti del tutto con il carico di innovazione che la metteva all’anagrafe del mondo dell’arte: era quasi vecchia di un secolo, ma stava solo allora dicendo che avrebbe contribuito a cambiare le regole. Dopo gli esordi, la fotografia solo allo scavallo del secolo aveva convinto gli artisti che la figurazione andava sorpassata – ed è la storia delle avanguardie storiche. La rappresentazione stava lasciando le tavolozze per infilarsi nelle camere oscure, eppure sarebbe bastata una manciata di anni perché la fotografia – Nadar, Stieglietz, Man Ray – assorbisse tutto il panorama dell’arte: la rappresentazione e l’astrazione, il surrealismo e la ritrattistica.
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Lì in mezzo c’è una corrente che un po’ di anni dopo avrebbe preso il nome di un’agenzia: la Magnum, che avrebbe raccolto gli obiettivi e le pellicole di una serie di autori spesso collaterali al mondo dell’arte ma che avrebbero cementato il loro sguardo sotto l’etichetta di fotografia umanistica. Uno sguardo sul mondo attraversato dagli attimi, dagli istanti, dai momenti di vita, dalla Storia e dalla storia, per dirla con Toltsoj. Dentro e fuori Magnum quell’idea di fotografia ha attraversato il secolo breve e avrebbe poi assunto declinazioni diverse, come street photography, fotografia di strada.
In tutto questo Vivian Maier fa storia a sé. Perché ne è stata protagonista inconsapevole. Per capire di cosa si tratta basterà fare un salto all’arengario di Monza a partire da sabato 8 ottobre e mettersi letteralmente “Nelle sue mani”: è il titolo dell’antologica dedicata all’artista newyorkese che occuperà gli spazi di piazza Roma fino all’8 gennaio raccontando in 100 immagini – in gran parte mai esposte prima – la storia unica e straordinaria di un’artista che non ha mai saputo di esserlo. I suoi scatti sono diventati celebri dopo la sua morte,quando nel 2007 John Maloof li acquista all’asta da un magazzino che l’ex tata – questo ha fatto per gran parte della sua vita – aveva smesso di pagare.
Sono 120mila negativi quelli che Maloof si trova tra le mani: decine, centinaia, migliaia di scatti che giorno dopo giorno la newyorkese ha realizzato raccontando un secolo di Stati uniti e di vita: sono meno di dieci gli anni della sua scoperta, una manciata quelli del suo arrivo in Italia, uno dalla prima grande antologica a Milano, allo Spazio Forma. «Con uno spirito curioso e una particolare attenzione ai dettagli, Vivian ritrae le strade di New York e Chicago, i suoi abitanti, i bambini, gli animali, gli oggetti abbandonati, i graffiti, i giornali e tutto ciò che le scorre davanti agli occhi» si legge nella presentazione.
«Il suo lavoro mostra il bisogno di salvare la “realtà” delle cose trovate nei bidoni della spazzatura o buttate sul marciapiede. Pur lavorando nei quartieri borghesi, dai suoi scatti emerge un certo fascino verso ciò che è lasciato da parte, essere umano o no, e un’affinità emotiva nei confronti di chi lotta per rimanere a galla».
La mostra promossa dal Comune di Monza è prodotta e organizzata da Vidi in collaborazione di Chjroma photography, Howard Greenberg Gallery di New York e John Maloof Collection. Curata da Anne Morin, è in programma dall’8 ottobre all’8 gennaio, e ha la consulenza scientifica di Piero Pozzi. Sono in programma incontri e approfondimenti.
Lunedì chiuso, da martedì a venerdì dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 19, sabato, domenica e festivi 10- 20. Biglietti a 9 e 7 euro, scuole 5 euro. Audioguide incluse nel prezzo. Info: arengariomonzafoto.com.