Quattro secoli fa la donna viveva già nella “stanzetta” da otto anni: nessun contatto con l’esterno, giusto una feritoia per fare passare l’aria e avere del cibo, nient’altro. Era il ritiro di Santa Valeria: li trovavano casa le ex prostitute pentite e senza mezzi di sostentamento. Marianna De Leyva avrebbe vissuto lì per il resto della vita, fino al 1650, nonostante fosse stata liberata nel 1622.
Era stata arrestata il 25 novembre del 1607 per ordine del cardinale Borromeo, immediatamente trasferita a Milano sotto scorta armata: di sangue ne era già stato sparso abbastanza e lei apparteneva a una famiglia di rango. Di lì a poco l’inchiesta, affidata prima al vicario arcivescovile Girolamo Saracino nel monastero di Santa Margherita a Monza, mentre le altre due religiose complici, Ottavia e Benedetta fuggivano: la prima sarebbe morta per mano di Giovanni Paolo Osio, la seconda quasi.
Quando i giudici l’avevano condannata nel 1608, al termine di un processo durato poco meno di un anno, aveva 33 anni. Ed era già stata rampolla della nobiltà spagnola a Milano, feudataria di Monza, monaca per imposizione, complice di omicidi, madre. Gertrude, suor Virginia Maria, Marianna De Leyva, la Signora di Monza: sotto questi tre nomi la vicenda resa celebre dalla rilettura di Alessandro Manzoni nei Promessi sposi. Sarà dedicata a lei quella che per il momento si presenta come la più importante mostra dell’autunno in città: al Serrone della Villa reale dipinti, incisioni e documenti, «suggestivi video e originali illustrazioni create ad hoc per la mostra al fine di indagare la vita, la storia, le passioni di uno dei più importanti personaggi manzoniani, ma anche il tema della condizione femminile nella prima età moderna. per ricostruire la storia». Così scrivono gli organizzatori, cioè ViDi (già protagonista a Monza con le mostre di Ayrton Senna, Robert Doisneau e Giorgio de Chirico), in collaborazione con la Fondazione Gaiani e il Comune, un progetto promosso dal Consorzio Villa reale e parco .
«Grazie ad un allestimento immersivo ed emozionante, il percorso espositivo» porterà al Serrone opere in prestito dalla Gam di Milano, dall’Accademia di Brera, i Musei Civici di Pavia, i Musei Civici di Brescia, le Civiche Raccolte Grafiche e Fotografiche e il Gabinetto dei Disegni del Castello Sforzesco di Milano, i Musei Civici di Monza, l’Archivio Diocesano di Milano, la Casa Manzoni. Nell’allestimento anche un compendio grafico, con illustrazioni realizzate da Jacopo Vecchio e Amalia Mora, che «farà leva sui momenti meno noti della storia di Gertrude e sul tema della malmonacazione in letteratura», così come uno dei temi della mostra sarà «l’ingresso in convento come espediente economico adottato dalle famiglie dell’epoca per limitare la dispersione del patrimonio». Nella sala della rotonda dell’Appiani il pubblico potrà assistere, attraverso dei contributi video, alla ricostruzione del processo che condannò la Monaca ad essere “murata viva”.
La mostra, curata da Simona Bartolena e Lorenza Tonani, sarà parte di un progetto più ampio, di cui ancora non si conoscono i dettagli ma che intende ricostruire l’epoca della Signora, intitolato “Sulle Tracce della monaca di Monza” «che coinvolgerà tutta la città con mostre, spettacoli teatrali, incontri e itinerari per celebrare questo straordinario personaggio». La mostra sarà aperta dal primo ottobre al 19 febbraio con ingressi a 10 e 8 euro.