La famiglia Castiglioni: una storia d’arte, d’amore (e design) che passa da Monza

Monza è la culla del design italiano e la famiglia Castiglioni ha avuto un ruolo centrale nel disegno industriale. Proprio al capoluogo brianzolo si intreccia la loro storia, che Carlo Castiglioni - nipote di Giannino, figlio di Achille - racconta al Cittadino con la figlia Livia.
Una scultura di Giannino Castiglioni per il cimitero di Monza
Una scultura di Giannino Castiglioni per il cimitero di Monza

Lo scultore Giannino Castiglioni, i figli Livio, Pier Giacomo e Achille, il figlio di quest’ultimo, Carlo, che ha raccolto l’eredità intellettuale del padre guidando la Fondazione che porta il suo nome. Carlo Castiglioni vive a Monza, sua figlia ha riannodato i legami familiari con il liceo Zucchi frequentandolo: è una lunga storia che Carlo ha voluto raccontare al Cittadino. Eccola.

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Se si osservano da vicino le vite delle persone, a posteriori intendo, con una lente, cercandone le linee, le connessioni, con l’intento di ricostruirle, è inevitabile leggere tra gli accadimenti delle ‘coincidenze estreme’ che sembrano dare a quell’esistenza una sorta di predestinazione. Casi, incontri, destini incrociati, magie e psicomagie del quotidiano, sembrano a volte essere state composte e giustapposte nella vita di un individuo da farne inevitabilmente, ineluttabilmente ciò che è stato, come se per lui non potesse figurarsi altro se non proprio quell’esperienza della vita che si è trovato a vivere.

Ora io non so che posizione si possa avere su casi, destini e predestinazioni, mi piace citare Borges quando dice ‘ Chiamiamo caso la nostra incapacità di spiegarci la consequenzialità degli eventi’, e con questo chiudo le digressioni filosofiche, per entrare quindi nel vivo della storia che voglio raccontare. Storia che mi riguarda da vicino, molto. Una storia che mischia arte, amore e amicizia in maniera magistrale ed inaspettata.

Iniziamo dalle coordinate.

Partiamo da un luogo, per la precisione una città: Milano.

E da una via, un indirizzo preciso: Corso di Porta Nuova, con particolare attenzione al n°15.

E ovviamente un tempo: diciamo, all’incirca, i primi del 900.

Cosa troviamo nei primi anni del XX secolo a Milano in corso di Porta Nuova, al n° 15?

La Fonderia Jhonson.

Si trattava di un’azienda relativamente grande per l’epoca, che spiccava tra le varie botteghe artigiane e piccole fabbriche circostanti, ed era specializzata in medaglie. Ma non solo medaglie, come potremmo immaginare oggi, di chi vince gare competizioni, anche oggetti di minor valore, ‘medagliette’ che all’epoca erano molto comunemente utilizzate come una sorta di badge identificativi di partecipanti a congressi e riunioni.

Corso di Porta Nuova, ci interessa in generale, e tra poco capirete perché. All’epoca era una via un po’ laterale rispetto al centro della città meneghina, costituita da quelle tipiche case molto comuni a Milano dette appunto ‘di ringhiera’: edifici di due o tre piani che si articolavano in una serie di cortili interni, caratterizzati da ballatoi da cui si accedeva ai singoli appartamenti, con un bagno comune alla fine del ballatoio.

Ma torniamo per un attimo alla fonderia Johnson: immaginiamo di essere lì, diciamo nel 1902, e di chiedere del capotecnico che gestisce la produzione: ci presenterebbero un distinto signore, Giacomo Castiglioni, che guarda caso abita lì a pochi passi, sempre in corso di Porta Nuova, proprio in una casa di ringhiera. E se ci scambiassimo quattro chiacchiere scopriremmo che uno dei figli, quello un po’ vivace e scapestrato, ma un gran bravo ragazzo, ha 18 anni e fa l’Accademia di Belle Arti di Brera, che fra l’altro non è lontana da lì, e sì, studia tanto ed è appassionato di incisioni e di scultura. E si chiama Giannino, sì. E studia con Butti e Bistolfi.

Giannino Castiglioni. Giannino che nasce a Milano in Corso di Porta Nuova, tra fabbriche e fabbrichette, botteghe artigiane e fonderie, e si iscrive all’Accademia di Brera, aprirà il suo studio di scultore proprio in quella via, lavorerà come incisore per la Fonderia Jhonson, sempre in quella via, vivrà, lì, per molti anni… Anni di vita, lavoro, attività, studi, divertimenti, giochi, tutto in poco più di un chilometro quadrato di città. Oggi si viaggia, ci si muove, le esistenze si spalmano ed estendono da una parte all’altro del Pianeta, all’epoca la vita di una persona, del tutto densa, densissima, proprio, di ‘vita’, poteva essersi concentrata per gran parte in un pezzo di città percorribile a piedi.

Allora attenzione, non perdiamo le nostre coordinate.

1902, Milano, Lombardia.

Giannino ha circa 18 anni.

Ok, lasciamolo lì.

A questo punto spostiamo il riferimento spaziale ad un altro luogo fondamentale della nostra storia. Il Lago di Como, il Lario, il lago protagonista indiscusso di uno degli incipit più famosi della nostra letteratura…tanto amato dunque da ‘Don Lisander’ (Alessandro Manzoni, per l’appunto). E proprio sul decantato ramo che volge a mezzogiorno, immaginiamo di fare un’ inquadratura stretta su un paesino, Lierna, sì lì, proprio lì, tra Mandello e Varenna. Sì, proprio questo piccolo agglomerato lacustre, qualche villa, una piccola locanda con un terrazzo a vista lago, un imbarcadero per i battelli, una trattoria per i villeggianti. Lierna, dove all’epoca si arrivava in treno, direttamente da Milano, a respirare l’aria di lago. Lierna, da cui si poteva godere di una vista eccezionale fino alla punta di Bellagio, oppure passeggiare sui monti, oppure raggiungere il borgo fortificato e la spiaggia di sassi bianchi detta appunto ‘Riva Bianca’. Lierna, un luogo di villeggiatura d’altri tempi, quando ci si divertiva con poco, come si suol dire, e per sentirsi in vacanza bastavano una serata musicale, un giro in schettini (pattini a rotelle) sulla terrazza dell’imbarcadero, una cena in trattoria, un’escursione in barca e poco altro.

Lierna. Bene. Lasciamo un attimo Lierna (ma ci torniamo subito, subito, eh, non dimenticatevela!) e ritorniamo verso Milano, in un altro luogo molto Manzoniano, una città oggi più famosa per il Gran Premio che per la sua celebre Monaca, ossia, nel cuore della Brianza, la graziosa e verdeggiante Monza. Qui a Monza, viveva, sempre ai primi del 900, un austero professore, Antonio Bolla, direttore del Liceo Ginnasio Zucchi, con la moglie e le due figlie,Tullia e Livia. Due ragazze colte, intelligenti, e, diciamocelo, due tipe sicuramente toste. Tullia, da buona primogenita era stata la prima donna a frequentare il Liceo Zucchi, studentessa esemplare, tanto da aggiudicarsi la medaglia Bolgeri, come miglior allieva dell’anno. E no, non l’ha vinta perché il padre era il preside, no, a differenza di oggi non era semplice essere studentessa e donna e vincere un premio…nemmeno se tuo padre era il ‘boss’ dell’istituto. Anzi, forse questo rendeva tutto ancora più difficile! Comunque, tornando a noi, anzi alle due sorelle Bolla, c’è da dire che anche la più giovane, Livia, non era stata da meno e aveva volentieri seguito le orme della maggiore, e si era diplomata presso il Liceo Zucchi nei primi anni del XX secolo. Insomma, il buon Antonio Bolla, fine intellettuale e studioso, si era adoperato perché le figlie non fossero solo bamboline educate al ricamo e al pianoforte, ma le aveva spronate a farle lavorare ‘di cervello’, crescendole come donne forti, educate e di cultura.

Ed ora è arrivato il momento di mettere insieme i pezzi, perché chiaramente tra tutte queste città nomi famiglie avrete già tutti perso il filo…allora:

Primi anni del 900.

Milano. Famiglia Castiglioni. Giannino Castiglioni, aspirante artista con propensione alla scultura.

Monza. Famiglia Bolla. Livia Bolla, brillante studentessa di Liceo Classico, fresca fresca di diploma.

Lierna!

Lierna, luogo di villeggiatura in cui, guarda caso, entrambe queste famiglie erano solite trascorrere le vacanze.

Eh, sì.

E guarda caso una sera, forse sul terrazzo della locanda, forse a una serata musicale, forse in trattoria, chi lo sa, due ragazzi fanno conoscenza. Lui si chiama Giannino. Lei si chiama Livia.

E galeotta fu Lierna, con la sua romantica cornice lacustre.

Dunque Livia e Giannino qui si incontrano e qui si innamorano. Eh, il Caso, con le vesti di Cupido, aveva deciso di mettere insieme le strade di questi due giovani….

E i due, come in tutte le storie d’amore che si rispettino, non potevano certo esimersi dall’incontrare ostacoli e difficoltà.

Ora, precisiamo subito che Castiglioni e Bolla non erano certo Montecchi e Capuleti, siamo a Lierna e non a Verona, Giannino non è Romeo, Livia non è Giulietta, ma certo è che l’austero preside Bolla non vedeva affatto di buon occhio il giovane Giannino. E non è difficile immaginare perché… Giannino era un bel ragazzo, dagli occhi vivaci e svegli, ma veniva dall’Accademia di belle Arti di Brera, che per il raffinato professor Bolla era un ricettacolo torbido di indefinita sottocultura artistoide e pretenziosa, e soprattutto, ‘Questo Castiglioni’, voleva fare l’artista….l’artista? Ma che lavoro era? Era un lavoro? (Discorsi che, in effetti, qualunque padre…)

Ma Bolla non aveva fatto i conti col carattere deciso di Livia, che senza dubbio lui stesso aveva contribuito a forgiare; la bella Livia, senza bisogno di ribellioni o di fughe romantiche, aveva fatto intendere con fermezza al padre che non aveva alcuna intenzione di respingere le avances di Giannino. Quest’ultimo, dal canto suo, non era rimasto a girarsi i pollici: rimboccatosi le maniche (cosa non si fa per amore…!) aveva iniziato a fare di tutto per mettersi in buona luce con il professor Bolla, per riuscire a scalzare il suo sguardo arcigno ed ottenere un minimo di accettazione.

Il nostro eroe, innamorato, ricambiato, forte di questo sentimento, per prima cosa voleva a tutti costi dimostrare di non essere un artistucolo da strapazzo, e aveva cercato quindi di attivarsi e di trovare dei canali che gli consentissero di inserirsi nell’ambiente artistico lombardo di un certo livello. Scopre che il padre Giacomo è molto amico di un pittore Monzese di una certa fama, Gerardo Bianchi, fratello del più noto Mosè, che all’epoca era considerato la vera star del panorama artistico monzese.

Insomma Giannino tramite il padre inizia a fare le ‘giuste’ amicizie: dopo Gerardo Bianchi, diventa amico e confidente di un altro pittore monzese, un illustre acquerellista, noto sia in Italia che all’estero, Pompeo Mariani. Per far onore al Caso, con la C maiuscola non per niente (e guarda Caso anche Castiglioni inizia con la C! eh, che Caso…), Mariani è nipote dei due fratelli Bianchi, citati qualche riga fa. Un ‘quadretto’ dipinto magistralmente dal fato (dico fato per variare un po’ da…avete capito!), già, un quadretto proprio niente male… Comunque, i Bianchi e il Mariani, artisti di ottima fama presso gli intellettuali monzesi e limitrofi, sono assai coinvolti sul territorio della Brianza nell’organizzare mostre e vernissage allestiti nei locali della Villa Reale, che dopo l’assassinio del Re era stata ceduta ai comuni di Monza e Milano. La meravigliosa location della Villa Reale stava diventando all’epoca un vero centro di diffusione artistica e culturale, proprio grazie all’attività e all’impegno intenso di tutti questi pittori, scultori, intellettuali, al punto che per diversi anni, la mostra dei manufatti che successivamente prenderà il nome di ‘Triennale’ si è tenuta proprio qui. Questo fatto, poco noto ai più, è stato una realtà fino alla costruzione dell’attuale sede di Milano finanziata dal senatore Bernocchi.

Torniamo al nostro giovane Giannino, pieno di passione corrisposta per la bella Livia: come dicevamo, entra dunque nel circolo degli artisti monzesi, lo vediamo in una bella foto di gruppo, ad una cena in onore di Gerardo Bianchi, una bella combriccola di pittori, scultori ed intellettuali vari. E contemporaneamente, seppur giovanissimo inizia realmente ad avere una certa fama come artista, infatti come scultore riesce a presentare già nel 1906 alla Mostra Internazionale di Milano una sua opera in grandezza naturale in gesso, ma soprattutto ottiene successo con le sue medaglie, che pure vengono premiate in questa occasione

Benissimo. Il piano dei due giovani sembra perfetto. Tutto scorre nel verso giusto. Giannino Castiglioni inizia a mostrare il suo talento, a presenziare negli ambienti giusti, a mostrare ed essere riconosciuto per il suo lavoro. Sembra che la luce di cui inzia a brillare possa quasi aprire una piccola breccia nel cuore dubbioso dell’ombroso preside Bolla…Sembra. appunto. Ma ancora non basta. ’Ma come’ pensa Giannino ’ora che c’è tutta questa attenzione per il mio lavoro, ancora non riesco a strappare un consenso?’

Lavoro. Già. Questo il vero problema del buon Prof Bolla. ‘Ma quale lavoro?’ ’Quale garanzia, in quale stabilità economica potrà mai sperare questo giovanotto milanese? Che vita si prospettava a lui e a mia figlia? La morte per tisi in una soffitta povera piena di muffa?’

Giannino, artista emergente, è messo davvero alle strette…ma pieno di amore e di risorse com’è, prova a cercarsi un lavoro, un vero lavoro, così come lo intende il futuro suocero. Quindi prende una decisione. Si prepara, di tutto punto. Apre la porta, esce di casa, proprio da corso di Porta Nuova n°… a Milano. Ben vestito, tirato a lucido, inizia a camminare. Cammina e cammina. Cammina per pochi metri in realtà. Proprio pochi. Si ferma al n° 15. Sì, sempre di Corso di Porta Nuova. Esatto, proprio alle Fonderie Johnson. Entra. E si fa assumere come medaglista.

Ora ha un lavoro. Fisso.

Che oggi manco ce lo sognamo.

Livia e Giannino si sposano nel 1907, in un tripudio di festeggiamenti dove ovviamente partecipano tutti gli amici artisti, pittori, intellettuali… e Pompeo Mariani regala alla coppia un quadro con una dedica dolcissima: ’All’amico Giannino e alla dolce metà’.

Giannino Castiglioni con Livia si trasferiranno poi a vivere proprio in quel di Milano, in Corso di Porta Nuova, dove il nostro scultore, oltre a lavorare alla Johnson, creerà la sede del suo studio di artista.

Ma le coincidenze estreme di cui parlavo all’inizio non finiscono qui, ma continuano…Seguitemi ancora un attimo.

Giannino evidentemente accettato e benvenuto dal professor Bolla, rimane legato alla città di Monza che ha dato i natali alla sua sospirata sposa e a tante consolidate amicizie, al punto che per diversi anni realizzerà alcune piccole opere scultoree legate proprio al Liceo Classico Zucchi. La medaglia per il Ginnasio Zucchi del 1910, ad esempio, la Tessera di Riconoscimento del 1911, l’attestato di merito per il Ginnasio del 1910 e la targa per le gare di tiro a segno di Roma omaggio degli alunni del ginnasio nel 1911. Ma anche alcune importanti sculture ancora oggi presenti nel cimitero di Monza.

Giannino Castiglioni, che nasce, lavora, studia a Milano, va in vacanza a Lierna e si lega artisticamente e affettivamente alla piccola provincia di Monza. Giannino Castiglioni, che è stato uno scultore di un certo valore, forse poco noto al grande pubblico, ma molte sue opere, anche famose costellano la città di Milano e non solo. Basta saper osservare. La porta del Duomo dedicata a S. Ambrogio. Se guardate il Duomo di Milano è la seconda da sinistra. La fontana di S. Francesco in Piazza di Santa Maria degli Angioli. Il cristo Re all’entrata dell’Università Cattolica. Il monumento ai caduti in Piazzale Loreto. Per dirne alcuni..

Giannino Castiglioni, in un certo qual modo, come molti altri, ha determinato e plasmato con le sue mani il paesaggio che costituisce la faccia della città di Milano.

E le coincedenze continuano, come dicevo, perchè, guarda un po’ tutta questa storia riguarda da vicino anche me. Dal matrimonio di Giannino e Livia nascono infatti tre personaggi niente male, molto conosciuti, molto amati e molto meneghini, nel senso migliore del termine: Livio, Pier Giacomo e Achille Castiglioni. Tre fratelli, scapestrati quanto il padre, sempre complici e sempre in combutta, che hanno fatto grande il design italiano nel mondo. E cosa non trascurabile, da questo matrimonio ne ho tratto giovamento anche io, che sono figlio di Achille, avendo indubbiamente avuto la possibilità di nascere e di conseguenza conoscere queste uomini straordinari. E dunque essere qui a raccontarvi queste storie. Senza contare poi, per chiudere il cerchio del caso, che dopo che anche io sono convolato a giuste nozze, verso la fine degli anni 70, mi sono trasferito a vivere proprio a Monza. Eh, sì. E il caso ha voluto che avessi tre figlie, di cui ben due diplomate proprio in quel Liceo Zucchi di cui il mio bisnonno era stato preside, in cui mia nonna era stata una delle prime studentesse donne e dove il mio nonno Giannino aveva realizzato alcune piccole opere.

E l’ultima coincidenza estrema, è che la mia primogenita, diplomata allo Zucchi, si chiama anche lei Livia.