È una lettera scritta e firmata da Giacomo Puccini, in quello scorcio di fine Ottocento a riportare il compositore in città: «Ieri sono andato a Monza sul tramvai. Stasera vado a mangiare i fagioli dal Marchi».
Però l’olio dal Marchi era «di sezamo o di lino» – robaccia per un palato di Lucca – e allora il futuro compositore, da milanese, aveva chiesto a casa di mandarne «un popoino» di quello buono. Il racconto di Monza in tramvai e dell’olio buono sono nel volume mandato in stampa dal Saggiatore, “Giacomo Puccini – Il romanzo della vita”, scritto da Giuseppe Adami, librettista e amico del compositore.
È morto nel 1946, Adami, ma ha lasciato in eredità quegli scorci di vita di Puccini riportati in libreria dall’editore milanese. Nel libro l’attesa per l’esito dell’esame d’accesso al Conservatorio, la passione per la caccia e lo sport, le frequenti liti con i librettisti, le confidenze ad amici e collaboratori come Giulio Ricordi, Luigi Illica, Giuseppe Giacosa e lo stesso Adami. «Dalla prima delle Villi al Teatro Dal Verme nel 1884, al trionfo di Madama Butterfly, fino agli ultimi giorni di vita dedicati alla stesura di Turandot, rimasta incompiuta», si legge nella presentazione. E sullo sfondo, l’incontro tra i due, che si sarebbe poi tradotto nella collaborazione per “La rondine”, “Il tabarro” e “Turandot”.
A Monza Puccini è vissuto in corso Milano 18, sopra l’attuale stazione, esattamente 130 anni fa. E sono quelli gli anni della sua vera bohème. Ci era arrivato in fuga da Lucca insieme alla donna con cui stava per avere un figlio, Elvira Bonturi, che per lui aveva lasciato il marito droghiere e troppo assente da casa. A Monza era nato l’unico figlio della coppia che si sarebbe sposata nel 1904, Antonio. Pochi soldi, cene a mazzi di cipolle, un incarico da Giulio Ricordi per una nuova opera, pentagrammi di sogni.
«In questa casa, ove gli nacque il figlio Antonio e compose parte dell’Egar, Giacomo Puccini visse da bohemien, maturando in cuor suo il dono imminentissimo di armonie sublimi e melodrammi eterni» si legge sull’epigrafe. La targa è datata 25 gennaio 1987. A quell’epoca c’era il Teatro Sociale, dove Puccini si occupa dell’accompagnamento durante le prove per gli spettacoli, e che fa da sfondo all’amicizia con il soprano Gemma Bellincioni. C’era il lavoro sull’Edgar, spalla a spalla con il librettista Ferdinando Fontana (sono gli stessi anni in cui sono frequenti i viaggi a Caprino); e poi gli artisti Pompeo Mariani ed Emilio Borsa. In corso Milano 18, Giacomo Puccini sarebbe rimasto fino al 1889. Poi venne Milano, via Solferino 27, dove trovò conclusione l’Edgar, la cui gestazione durata quattro anni non assicurò il favore sperato, e comparvero Manon Lescaut, La Bohème.
LEGGI la visita di Simonetta Puccini alla casa del nonno
Sei anni fa era stata la nipote del compositore, la figlia di Antonio, a raccontare suo nonno a Monza, quando all’autodromo una mostra aveva riassunto la passione di Puccini per i motori e la velocità. Aveva parlato dei suoi ritorni in città anche quando i soldi avevano iniziato a circolare in tasca, quando si poteva permettere le auto e «nei giorni in cui era libero dal comporre, con la sua Sizaire e Naudin, acquistata nel 1905, partiva da Milano per scampagnate in Brianza, sostando spesso a Monza a cui era molto legato».
Simonetta Puccini allora aveva ricordato anche altro, l’amicizia del nonno Giacomo con i pittori. «Nei due anni in cui visse a Monza strinse amicizia con i pittori Pompeo Mariani ed Emilio Borsa e il celebre soprano Gemma Bellincioni – aveva detto al Cittadino -. Anche in seguito gli artisti monzesi lo raggiungevano a Tor del lago. Una grande amicizia fu quella con Fontana, il librettista dell’Edgard. Mi piacerebbe che questa amicizia fosse ricordata in qualche modo dalla città di Monza, magari dedicando a Fontana una strada».
Simonetta Puccini ha soprattutto in mente una data, per Monza: il 22 dicembre 1886 in cui era nato Antonio, suo padre. «Non furono anni facili, mio nonno non aveva ancora ottenuto il successo e se la passava male anche economicamente». Sono anche gli anni dell’amore potente per Elvira, un rapporto che sarebbe durato tutta la vita con un saliscendi da montagne russe tra rimproveri e passione, gelosie (giustificatissime) e ripensamenti. Le cipolle monzesi sarebbero passate presto, in una manciata di anni: prima quelli del debutto non fortunato dell’opera “Edgar”, alla quale aveva lavorato proprio a Monza, con l’esordio alla Scala di Milano il 21 aprile 1889. Un insuccesso, a teatro, ma il primo passo fondamentale di un musicista di cui Giulio Ricordi avrebbe garantito nero su bianco – indovinandoci – il futuro di successo. E infatti poi sono arrivate “Manon Lescaut” nel 1893, “La Bohème” nel 1896, la gloria internazionale subito dopo.