«Un mondo passibile di verità e di inganni, di equivoci o di trucchi ottici»: perché la fotografia non è lo spazio della realtà e punto, è una geometria fatta di lenti, allestimenti, prospettive. Anche quando inquadra soltanto il quotidiano.
Parte da qui la mostra che il Museo d’arte contemporanea di Lissone ha allestito negli spazi di viale Padania 6 fino al 20 luglio: si intitola “Dell’infingimento. Quello che noi crediamo di sapere della fotografia” e porta a Lissone opere provenienti dalla collezione Malerba. Sedici autori di riverbero internazione, da Luigi Ghirri a Oliver Richon, passando da Nobuyoshi Araki, Thomas Ruff, Thomas Struth e Tracey Moffatt, che «esplorano le potenzialità del mezzo fotografico nel creare una realtà mediata dalla finzione». Con loro anche Mino Di Vita, Lukas Einsele, Annabel Elgar, Joan Fontcuberta, John Hilliard, Renato Leotta, Yasumasa Morimura, Hyun-Min Ryu, Alessandra Spranzi, Kazuko Wakayama, in una selezione curata da Alberto Zanchetta, direttore del Mac, ed Elio Grazioli.
Cosa non c’è di vero in una foto? «Ad esempio, l’idea della “(messa in) posa” corrisponde a quello della “messa in scena”, vale a dire un infingimento – scrive Zanchetta – . Giocando sulle analogie tra fotografia e teatro, tra camouflage e spettacolo, la mostra presenta alcune opere che sottendono ad artifici e mascheramenti». Una maschera per dissimulare, i tableau vivant per vestire i panni di attrici e artiste tra ritratti e autoritratti, la riscoperta dell’arte tra nature morte e ricostruzioni arcimboldesche. «Nell’impianto generale della mostra emergono inoltre memorie e storie collettive. Come quelle di Tracey Moffatt e Annabel Elgar, le cui immagini toccano argomenti socio-politici o pubblico-privati, dove persone e luoghi interpretano storie connesse all’identità razziale, spingendosi fino al grottesco».
Al Mac altri tre progetti in contemporanea, che rimarranno allestiti fino all’ultimo giorno di luglio: “Ab imis” dedicata alla pittura del praghese Tomas Rajlich, l’importante mostra dedicata a Grazia Varisco a più di 50 anni di distanza da un Premio Lissone che l’aveva vista protagonista nel 1961 (ma si tratta di uno sguardo sui suoi percorsi più recenti, sotto il titolo “Il corpo come campo dei sensi”) e nuovo capitolo di Arc#ive, il terzo volume: la rassegna dedicata agli archivi d’artista questa volta è dedicata a Emilio Isgrò.
Il museo è aperto mercoledì e venerdì dalle 10 alle 13, giovedì dalle 16 alle 23, sabato e domenica dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 19.