Rientrati in Italia mercoledì in Italia dopo il massacrante rally Pechino- Parigi, durato 36 giorni, i due equipaggi della scuderia del Portello di Seregno che hanno partecipato con due Alfa Romeo, una Giulia e una Giulietta, composti dal giornalista Roberto Chiodi con la moglie Maria Rita Degli Esposto e dal presidente del Portello Marco Cajani e Alessandro Morteo, hanno ripercorso la loro avventura. Dopo i festeggiamenti a place Vendôme, all’Arco di Trionfo e sui Champ Élisée a Parigi e nonostante la tragedia di Nizza.
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“Driving the Impossible”, guidare l’impossibile. È lo slogan più appropriato per descrivere la “6th Peking to Paris”. Così dalla voce di uno dei protagonisti, Marco Cajani, presidente della scuderia del Portello che ha portato a termine la prova col codriver Alessandro Morteo.
«Un rally che è stato dall’inizio alla fine all’insegna della competizione più spietata su percorsi accidentati e a tratti molto pericolosi – ha aggiunto Cajani – dalla Grande Muraglia, il 12 giugno, siamo partiti in 109. La prima macchina è stata la più “anziana”, una American La France del 1915. Nei 14 mila km del percorso, affrontati con una media di almeno dieci ore di guida al giorno, i cappottamenti sono stati una decina e sono avvenuti incidenti anche abbastanza gravi. La parte più dura della gara è stata la Mongolia, dove il rally è entrato nel vivo e si è rivelato accanito come mai in passato. Gli equipaggi, oltre a dormire per diverse notti nel deserto, hanno dovuto affrontare prove speciali lunghe fino a 40-50 chilometri, pietraie e tratti infernali di “ondulé” di massimo spessore, oltre ad attraversare un fiume vorticoso. Nei 5 mila chilometri della Siberia c’è stata la tappa più lunga del rally: 668 chilometri, da Novosibirsk a Omsk, con le solite prove sugli sterrati. Tra le prove speciali, alcune si sono svolte su pista: l’autodromo di Kazan, il circuito di Nami (pista di autocross) e l’autodromo di Mosca. L’unica tappa italiana, tra il 13 e il 14 luglio, ha visto gli equipaggi giungere a San Martino di Castrozza dopo una serie di prove rese ancor più difficili dal maltempo che ha costretto gli organizzatori a cancellare alcuni test sui passi alpini chiusi per la nevicata notturna. Un’esperienza, comunque, unica e affascinante soprattutto per chi ama l’avventura».
Le due Giulia della scuderia del Portello Alfa Romeo, la prima con a bordo Cajani con Alessandro Morteo co-driver, la seconda affidata al giornalista Roberto Chiodi che aveva accanto la moglie Maria Rita Degli Esposti, si sono comportate egregiamente.
Chiodi ha conquistato la medaglia d’oro per aver concluso in orario tutte le giornate di gara e aver disputato entro il tempo massimo consentito tutte le innumerevoli prove speciali previste nelle cinque settimane del rally. Inoltre si è piazzato 13esimo assoluto, secondo di categoria e primo dei sette equipaggi italiani. Sua moglie è risultata la terza co-driver con il miglior piazzamento assoluto fra tutti i concorrenti.
Le auto della scuderia del Portello si sono classificate seconda e terza nella speciale classifica di classe della Coppa Europa che prendeva in considerazione soltanto i risultati conseguiti dalla Polonia a Parigi.
«Se la scommessa iniziale era quella di riuscire a portare da Pechino a Parigi, dopo 36 durissimi giorni di gara, entrambe le vetture della Scuderia – ha sottolineato Roberto Chiodi – l’obiettivo non solo è stato ampiamente raggiunto, ma le classifiche stanno a dimostrare che le due Giulia sono andate ben oltre le più rosee previsioni».
Marco Cajani ha precisato e sottolineato che «la Giulia affidata ai coniugi Chiodi era la più piccola in assoluto come cilindrata (1290 cc) e delle dieci Mercedes iscritte ne ha superate otto, risultato identico per quanto riguarda le dieci Volvo partecipanti, lasciandosi alle spalle anche tutte le Porsche che erano partite da Pechino con ben altre ambizioni».
Nelle vetture anteguerra hanno trionfato due Chrysler 75 Roadster, veri e propri hot road, vale a dire macchine con vecchie carrozzerie e motori otto cilindri derivati da vetture moderne. Nelle Classic, affermazioni delle Datsun Z240 che sono partite al risparmio in Mongolia, hanno approfittato delle rotture degli altri concorrenti e poi hanno imposto un ritmo insostenibile per tutti gli altri aspiranti al podio.
I quattro protagonisti dell’affascinante esperienza hanno così concluso: «Sono stati 36 giorni massacranti, specie in Mongolia, una terra che ci ha sorpreso per la sua natura selvaggia e incontaminata, anche perché le prove a cui siamo stati sottoposti erano davvero toste perché le auto sono state messe a dura prova. Un’avventura da provare, ma forse da non ripetere un’altra volta».