Monza, i primi cinque anni senza Walter Bonatti

Cinque anni dalla morte dell’alpinista Walter Bonatti, scomparso nel settembre 2011. Alla fine di ottobre a Monza la presentazione ufficiale del libro “Il sogno verticale – Cronache, immagini e taccuini inediti di montagna”. Il ritratto di Mario Bonati.
Walter Bonatti
Walter Bonatti

Venerdì 28 ottobre, al Teatro Binario 7 di Monza, sarà presentato ufficialmente il libro curato da Angelo Ponta ed edito da Rizzoli “Walter Bonatti – Il sogno verticale – Cronache, immagini e taccuini inediti di montagna” (euro 35); nella stessa serata sarà anche festeggiato il settantesimo dell’Uoei (Unione operaia escursionisti italiani).

Intanto, il 13 settembre, sono stati cinque anni senza Walter. E la ferita non si rimargina.


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Con Bonatti scompare un mondo di valori sostanziato da talento, istinto e abilità. Sottotraccia, restano i residui di un decoro perduto, orfano di un uomo che – nella vita – ha avuto il solo torto di essere il più grande di tutti, per non subire processi scellerati e infami.
Nato il 22 giugno 1930 a Bergamo, Walter cresce brado nei mollenti del Po e nelle cime più che rassicuranti della Val Seriana. I fascisti – in città – rendono però la vita difficile ad Angelo Bonatti. Quando gli avvertimenti oltrepassano la soglia di guardia, Angelo svende bottega e si trasferisce a Monza.

Stringere la cinghia è una questione di abitudine; campare con dignità è una questione di rispettabilità. Con poche lire, i Bonatti affittano un appartamento in via Santa Maddalena, vicino ai molini di San Giovanni. Rincasando dal lavoro in fabbrica, mamma Agostina entra nella drogheria di mio papà, in via Porta Lodi, per acquistare il necessario per compicciare la magra cena di tutti giorni. Finito di corsa il desinare, Walter si fionda in piazza Duomo per giocare al “birlo” con i ragazzi del quartiere e per correre a perdifiato sullo spiazzo del monumento ai caduti o sullo slargo della statua del “Re de Sass”. Al rintoccare delle dieci, Monza d’incanto si svuota.

Tutti a casa e guai ai ritardatari: Angelo Bonatti è severo quanto basta per controllare a dovere l’esuberanza del ragazzo. Tanta insistita vivacità desta l’interessamento della Forti e Liberi. L’olimpionico Ettore Perego è l’allenatore che sgrezza e valorizza al meglio le doti acrobatiche di Bonatti. Spesso, con il povero Gaetano Maggioni, Walter s’arrampica sul muro di cinta vecchio e sbrecciato di viale Battisti facendo – con vent’anni di anticipo – “sassismo” duro e puro. Quando – siamo nel 1947 – Bonatti bussa alla “Peleos” per arrampicare, scopre un mondo ma – soprattutto – amici veri. Anzi, verissimi: come Florio Casati, Camillo Barzaghi e Carletto Casati. Florio lo squadra ben bene, l’ultimo arrivato: abile e arruolato. Il battesimo di Bonatti sulle Grigne si trasforma nella prima ascensione sul Campaniletto, stante la paura congenita del capo-cordata Elia.

L’anno dopo – siamo nel ’48 – arriva dal Cai Villasanta Andrea Oggioni. I “vecchi” sorridono di sottecchi quando Walter e Andrea – in equilibrio instabile sul cornicione della vecchia sede della Peleos di via De Amicis – si allenano nell’improvvisata parete con equilibrismi strabilianti. I due “pinella” stupiscono il mondo con imprese più che sensazionale. Ma la meschina malvagità degli uomini (e delle istituzioni) cambia per sempre il carattere di Walter. Ferito da troppi vergognosi disinganni, il ragazzo che ha resistito in plein air al folle bivacco notturno a 8100 metri – dopo aver portato le indispensabili bombole d’ossigeno che permisero a Compagnoni e Lacedelli di raggiungere la vetta del K2 – ha deciso di sposare la solitudine.

Scavato in profondità dalle bassezze inconfessabili degli “amici”, Bonatti ha l’esattissima percezione che la distanza tra la sua coscienza e il nulla intorno si allarghi sempre più. Parlare di valore, coraggio e dignità fa male alla meschina consorteria dei quaquaraquà di professione, buoni soltanto a inzaccherare – di suo – le sensazionali imprese del “peleos”. Le infami calunnie dei meschini e degli svergognati non spostano minimamente la rotta cardinale di Walter. Di ritorno dalla spedizione al K2, Lacedelli e Compagnoni – smaltita la scuffia delle fruste celebrazioni ufficiali – sono subito relegati a stucchevole monumento di se stessi. Colpevoli di non risolvere – per carenza di sentimento – le equazioni di grado zero della montagna, i due compari ricorderanno il passato per giustificare il gramo presente.

Walter no. Sognando l’impossibile, Bonatti dirime – uno alla volta – i problemi pretesi irrealizzabili dell’alpinismo “by fair means”: assommando la lezione dell’alpinismo classico degli anni Trenta, Walter rompe con i meschini stereotipi dei tempi presenti per diventare l’inarrivabile termine di paragone per tutti uomini che cercano qualcosa.