Mancava una mostra che ripercoresse il mito di Ayrton Senna e allora ci hanno pensato il fotografo Ercole Colombo e il giornalista Giorgio Terruzzi: sono loro ad avere curato il progetto che arriverà a Monza il 17 febbraio all’autodromo. Si chiama “L’ultima notte – La mostra”, perché riprende il titolo del libro firmato da Terruzzi (Suite 200. L’ultima notte di Ayrton Senna” (editore 66th and 2nd, collana “Vite inattese”, 2014), ma è fatta con cento immagini di Ercole Colombo. Rimarrà allestita al Museo della velocità fino al 24 luglio. La presentazione firmata da Giorgio Terruzzi pubblicata sul Cittadino di giovedì 11 febbraio.
LEGGI “Senna – l’ultima notte”: dove, come e quando
Orgoglio e tenerezza. Con questo ho a che fare nel momento in cui si inaugura la mostra “Senna –l’ultima notte” nel museo dell’Autodromo di Monza. I motivi sono diversi. Sono cresciuto a pochi metri dal parco; ho alimentato una passione profonda per la figura del pilota automobilistico, agitandomi da ragazzino tra Lesmo e la Parabolica; covo da molto tempo il desiderio che l’area dell’Autodromo fiorisca, finalmente, come un giardino carico di storia e fascino. Non che basti una mostra, sia chiaro, ma in qualche modo questa iniziativa credo possa fornire un piccolo contributo dentro uno spazio a lungo trascurato e quasi dimenticato.
Poi, le foto. Scatti firmati da Ercole Colombo. Il quale, oltre ad essere una delle figure più rilevanti del giornalismo motoristico, oltre ad aver dato un contributo straordinario alla diffusione della Formula 1 e alla passione conseguente, è stato il mio primo maestro, la persona che mi ha indicato il valore del lavoro, il dovere di cogliere ogni opportunità. Non è cosa da poco, soprattutto per un giovanissimo apprendista alle prese con un mondo adulto. Ercole, in questo senso, è un vero fenomeno. Energia e dedizione. Niente fuffa, solo sostanza. C’è da darsi da fare, nei suoi pressi. Il risultato è che, magari, impari a fare, appunto, senza metterla giù dura, misurando il privilegio che ti permette di occuparti di qualcosa che ami.
L’ultima notte
Poi, dentro questa avventura, c’è Senna. Il protagonista della mostra. Protagonista assoluto sempre. Per me, l’incontro più rilevante di una carriera ormai lunga. Il sottotitolo della mostra – “l’ultima notte” – indica un riferimento al libro “Suite 200- l’ultima notte di Ayrton Senna”, pubblicato nel 2014, che racconta appunto l’ultima notte trascorsa da Ayrton nella sua camera dell’Hotel Castello di Castel San Pietro Terme. Un uomo di fronte a una serie di nodi dell’esistenza, condensati in poche ore. Un uomo e il proprio destino. Dunque, una storia intima, uno scenario più complesso rispetto a quello che inquadra la figura del campione sportivo.
Del resto fu l’anima di Senna a colpirmi in continuazione, fu ciò che il suo “mago” Nuno Cobra, il suo preparatore atletico e guru spirituale, spiegò molti anni fa in modo esauriente. Per Ayrton ogni piccolo, possibile, godimento, doveva passare da un grande patimento. Una sintesi che permette di comprendere la perenne necessità di restituire in termini di alta qualità ciò che Senna aveva ricevuto. Vale a dire, il proprio talento e l’opportunità di sfruttarlo. Una percezione precoce dentro uno scenario, il Brasile, comprendente l’immagine violenta della povertà. Non solo. Senna, perseguendo la propria vocazione, alternava una ferocia agonistica persino esagerata ad una sensibilità manifesta. Offrendo, oltre ai lampi magnifici della sua guida, l’ombra dell’anima, la frequentazione con la sofferenza, le contraddizioni del suo vivere. Qualcosa che ci riguarda, che ha a che fare con ciascuno di noi. Quindi un campione capace di compiere gesti lontanissimi della nostra quotidianità e poi di dire o manifestare sentimenti del tutto comprensibili. Dubbi, rimorsi, egoismi, sensi di colpa, fatiche che fanno parte di un patrimonio condiviso, persino semplice ma di norma escluso dalla relazione tra un campione e chi lo osserva.
Sono rimasto sinceramente sorpreso dal successo del libro. Non pensavo che Senna fosse così presente nella memoria delle persone, di chi non l’ha mai visto correre, essendo nato dopo il 1994, di chi non pare molto interessato alle vicende della Formula 1. Invece, una quantità impressionante di testimonianze, una gamma meravigliosa di affetti resistenti e agitati dal ricordo di Ayrton, una commozione sempre fresca e preziosa. Il che mi fa pensare a quanto sia importante per tutti noi raccoglierci attorno ad una emozione, ad un affetto, alla possibilità di maneggiare in qualche modo un calore che sta lì, ha bisogno di emergere ma spesso resta confinato da una specie di disabitudine al confronto emotivo.
In viaggio
La mostra, dunque, diventa un viaggio. Aperto a tutti e quindi (ovviamente) anche a chi non ha letto il libro. Le bellissime fotografie di Ercole Colombo ci accompagnano lungo una carriera clamorosa, fatta di contrasti e successi, di incidenti e prestazioni indimenticabili; espongono le espressioni di un ragazzo ad alta intensità, ci portano sino a quel terribile fine settimana di Imola, il più cruento del motorismo moderno. Ci trasportano sin dentro la “Suite 200”, scelta da Senna per il piacere di ascoltare, all’alba, il canto degli uccellini sugli alberi che circondano l’albergo.
Le ragazze di Vidi – la struttura tutta al femminile che ha curato la mostra – di Senna non conoscevano granché. Si sono innamorate un po’ tutte, aggiungendo alla competenza e alla dedizione, un elemento emotivo fresco e decisivo. Sono arrivate là, anche loro, al cospetto di una fine per molti versi inaccettabile, addolcita dall’immagine definitiva del campione che muore. E che resta, per questo, scolpita per sempre. Gli eroi, come sappiamo, sono giovani e belli. In questo caso però non abbiamo semplicemente la figura di un campione scomparso. Abbiamo una persona che sfiorò e ancora sfiora i nervi, la pelle, quel filo di seta che collega il cervello al cuore.
L’assenza
Faccio fatica a prendere atto dell’assenza, pure io. Con Ayrton, per una serie di curiosi avvenimenti personali, ho potuto misurare allora una vicinanza, una sorta di affinità elettiva sconcertante. Così, non riuscivo a considerare reale il fatto che fosse morto, nemmeno dopo aver visto quel lago di sangue scuro, lasciato sul cemento del Tamburello mentre lo portavano via in elicottero. Senna era un capo, era un guerriero invulnerabile, almeno per me. Ero certo di rivederlo in piedi, pronto. Sino a quando, lassù, all’ultimo piano dell’Ospedale Maggiore di Bologna, tirarono un telo scuro nel corridoio del reparto rianimazione, per farlo passare, in un silenzio ultimo e penoso, per portarlo nel posto dove sta ora. Cimitero di Morumbi, San Paolo, la sua città. Il luogo dove tutto ebbe inizio. “Niente può separarmi dall’amore di Dio” sta scritto sopra una piccola targa affondata nell’erba. È un bel posto. Anche se Ayrton da lì parte, viaggia, ci viene a trovare in continuazione.
La mostra, alla fine, è tutta qui. Un modo, un bellissimo pretesto, per continuare a farci compagnia.
* giornalista, curatore della mostra