Buon compleanno, Giuseppe Verdi Ti ricordi quando volevi Monza?

Una vicenda a Italia da fare, ricostruita nel 1960 da don Giuseppe Baraggia, canonico del Duomo. Giugno 1834: con un avviso di concorso - ben pubblicizzato- la Fabbriceria della basilica collegiata di San Giovanni Battista in Monza. E Giuseppe Verdi, ventenne, partecipa. La storia di Verdi a Monza anche nel suo epistolario: leggi qui

C’è da strizzare un po’ gli occhi, per immaginarselo ventenne. Dietro i colori del Boldini, per esempio – bianco, grigio e nero perlopiù – nel celebre ritratto 1886. Dietro il nome altisonante – Giuseppe Verdi – ma negli anni a venire.

Per il momento un nome, in cima a una domanda, per ottenere un posto da organista, maestro di cappella e di canto. A Monza. C’è da strizzare un po’ gli occhi, per immaginarselo ventenne, lo sguardo grigio del Boldini chino sulle scartoffie da compilare per un lavoro che avrebbe gli assicurato 1.942 lire austriache, più sette centesimi.

A Monza: che in patria – a Parma, cioè – quel posto era stato assegnato a un altro. A Monza avrebbero potuto ricordarlo, nei secoli, come maestro di cappella e di coro, e organista del duomo. Invece no: ma non fu bocciatura, no, fu un rifiuto a incarico già assegnato, con rammarico del giovane maestro e di chi ne aveva appoggiato la candidatura, un pasticcio piuttosto rumoroso, con tanto di diserzione dei filarmonici parmensi. In protesta contro la mancata nomina di Verdi, a favor di straniero.

Una vicenda a Italia da fare, ricostruita nel 1960 da don Giuseppe Baraggia, canonico del Duomo e oggi ripresa dal sito “Monza curiosa”, a cura del monzese Giancarlo Nava. Le cose, insomma, che potevano essere e non sono state. Giugno 1834: con un avviso di concorso – ben pubblicizzato- la Fabbriceria della basilica collegiata di San Giovanni Battista in Monza cerca un maestro di cappella e di canto, che sia pure organista. Tra i requisiti: fede di nascita e religione professata, fedina criminale e politica, certificato di condotta e d’abilitazione al titolo. Giuseppe Verdi, ventuno anni da compiere, invia la propria adesione, cercando e ottenendo qualche appoggio tra Parma e Monza.

A Busseto infatti, va per le lunghe l’approvazione di una delibera di consiglio comunale a favore di una pensione come maestro dei giovani. Così, Monza. È il 1835: Verdi è accettato, il duomo tuttavia, non ha ancora visto il suo nuovo organista. La Fabbriceria manda a chiedere notizie tramite Giosuè Riboldi. E il collegamento con il collegio dei padri Barnabiti è spiegato dalla consuetudine che il maestro del Duomo fosse pure insegnante di musica dell’istituto. In risposta, arriva una rassicurante lettera di Lavigna, suo professore. Ma non il giovane. Seguono mesi di sollecitazioni e dubbi, finché in Duomo giungono alcune pagine scritte dalla penna di Verdi. L’incipit lascia poco spazio alle interpretazioni: «Nuovi tormenti e nuovi tormentati» (è il Dante di Inferno VI). Fugate del resto dalla successiva spiegazione dell’amico Barezzi: succede che in patria i filarmonici rifiutano di presentarsi alle funzioni se non sarà Verdi a dirigere, succede anche che il consiglio ha finalmente deliberato: «Ora ella vede – si scusa – come Verdi è costretto con proprio sacrificio a ritirarsi dall’onorevole impiego che graziosamente gli offrivano i monzesi».

Questo articolo è stato pubblicato nel mese di settembre del 2010 sul Cittadino di Monza. Lo ripubblichiamo in occasione del bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi. Per approfondire, è possibile anche leggere (a questo link) dell’epistolario di Verdi pubblicato da Einaudi, che riporta le lettere della vicenda monzese. Ed è un monzese ad averlo curato.