“Il mio è il lavoro più bello al mondo”. Così Serena Delbue, monzese, 38 anni, descrive la sua quotidianità di ricercatrice (a tempo determinato) di virologia e supervisor del laboratorio di Microbiologia dell’università di Milano. Dopo gli studi al liceo classico Zucchi, la scelta di iscriversi a biotecnologie biomediche, quando la facoltà era proprio agli esordi. Poi il dottorato con un lungo periodo negli Stati Uniti e la carriera universitaria che l’ha portata a tenere a gennaio corsi di virologia alla Temple University di Philadelphia.
Il suo campo di ricerca è il virus dell’Aids, da quindici anni nel laboratorio diretto dal professor Pasquale Ferrante, ordinario di Microbiologia all’Università di Milano.
Insieme hanno promosso di recente un incontro pubblico con un relatore d’eccezione come Kamel Khalili, tra i massimi esperti al mondo e autore di una scoperta che segna un altro passo decisivo per la sconfitta dell’Aids.
«Kahlili – spiega la ricercatrice monzese – si occupa di Hiv e dirige un dipartimento di Neuroscienze alla Temple University con 100 scienziati e 8 milioni di dollari di finanziamenti statali ogni anno. L’ultima sua scoperta riguarda la possibilità di excidere, ovvero eliminare il genoma del virus Hiv dalle cellule infette . Si tratta di uno studio in vitro che ha ancora bisogno di anni di ricerca, ma pone le basi per l’eradicazione del genoma dalle cellule infette. Un passo importante per sconfiggere l’Hiv».
La metodologia utilizzata dallo scienziato americano, con cui la ricercatrice monzese collabora da tempo, apre la strada per altri campi di indagine.
«Nel nostro laboratorio – spiega – ci occupiamo in particolare del polioma virus, un virus che colpisce i malati di Aids e che quando infetta il cervello causa una patologia fatale per cui al momento non esiste cura. Il nostro obiettivo è quello di lavorare sulla metodologia di Kahlili per riuscire a excidere anche il polioma virus».
Serena Delbue (
nella foto col suo laboratorio è la seconda da sinistra) racconta con entusiasmo la sua esperienza americana, nata già negli anni del dottorato, ma non nasconde le difficoltà: «Amo la ricerca e amo l’insegnamento, per questo considero il mio il lavoro più bello del mondo, anche se costa fatica e ancora oggi ho un contratto a tempo determinato».
L’esperienza americana? «Mi ha cambiato la vita e ha dato una svolta ai miei studi. Essere chiamata quest’anno per tenere lezioni di virologia a gennaio è stata una grande soddisfazione. Il sistema americano è molto diverso dal nostro, le università sono molto care e gli studenti pretendono il massimo».