In uno dei pochi numeri tornati alle stampe nel 1925 il “Corriere della Tessile” dedica la sua prima pagina a “L’inaugurazione del nuovo Ippodromo di Monza”. In primo piano i cappellini e gli abiti alla moda delle donne dell’alta borghesia presenti all’evento, sullo sfondo una delle tribune dell’impianto.
I lavori per la costruzione dell’ippodromo del Mirabello iniziano nel 1922 e durano due anni. Oggi, delle due tribune da 1.500 posti non è rimasto nulla, e del tracciato della pista forse si distingue ancora qualche segno sull’erba del prato che unisce villa Mirabello a Villa Mirabellino. Anche le stalle vivono solo nei ricordi e nelle cartoline, ormai d’epoca entrambi. Ma delle strutture che costituivano la biglietteria e dei locali dove si praticava l’insellaggio qualche rudere è rimasto. E sarà rimesso a nuovo.
Lo scrive nero su bianco il Consorzio Villa reale e Parco di Monza nel programma dedicato alle opere pubbliche da realizzare nel triennio 2015-18. «L’amministrazione comunale ha stanziato circa 250mila euro per il recupero dei due complessi – commenta Lorenzo Lamperti, direttore del Consorzio – Stiamo aspettando che il progetto definitivo venga approvato, integrato anche con le indicazioni che fornirà la Soprintendenza. Partiremo dall’ex insellaggio, in un secondo momento ci occuperemo della biglietteria».
E in effetti la volontà di ristrutturare i resti dell’ippodromo è stata espressa più volte dal sindaco Roberto Scanagatti, anche presidente del Consorzio: l’ultima nel “Rapporto alla città” presentato pubblicamente lo scorso marzo. I due edifici, pericolanti e ormai avviluppati dalla vegetazione, sono gli unici scampati a un grande incendio che nel 1990 ha distrutto quello che restava dell’impianto. Un impianto in disuso dal 1976, quando viene utilizzato un’ultima volta per disputare il Grand Cross Country di Monza, ma che negli anni Venti e Trenta, frequentato dall’aristocrazia e dall’alta borghesia, vive i suoi giorni più gloriosi. Seguendo i dettami europei dello stile liberty in fatto di ippodromi, l’architetto Paolo Vietti Violi lo realizza in legno: la sua è una firma prestigiosa, che sigla anche l’ippodromo di San Siro, a Milano, e di quello delle Capannelle a Roma. Negli anni successivi Vietti Violi seguirà anche altri progetti all’estero: andrà in Turchia, in Etiopia, in Venezuela.
Nel 1922 la realizzazione del suo trotter, commissionato da Sire, Società incoraggiamento razze equine, arriva come una boccata d’aria fresca per quanti avevano storto il naso per la costruzione, proprio nello stesso anno, dell’autodromo, decisamente più invasiva.
L’intervento in programma nei prossimi tre anni punterà a restituire all’edificio i lineamenti originari. «Ma parlare di tempistiche – precisa Lamperti – è ancora prematuro. Così come è presto delineare ipotetiche destinazioni d’uso. L’ex insellaggio rimesso a nuovo potrebbe diventare ad esempio un’area per consumare pic nic al coperto».