Se fossero un vinile sarebbero la prima traccia di un 33 giri che gira attorno a un centro: piazza Trento e Trieste, l’epicentro di Monza, equidistanti, in attesa che la puntina passi sopra e suoni le loro note. Ma uno è l’highlander, l’immortale dei negozi di dischi della città, il Carillon di via Cavallotti. L’altro Lullabies, 180 gradi più a nord ovest, in via Enrico da Monza: la promessa, e la conferma, che il vinile non solo è risorto, ma non è mai davvero morto.
Sabato 16 aprile, una volta di più: il Record store day (vai al sito ufficiale), la giornata internazionale dei negozi indipendenti di dischi, con un occhi di riguardo al vinile, il formato che più di ogni altro contiene il maggior numero possibile di frequenze audio dopo i concentri dal vivo. Da una parte trent’anni di storia, in via Cavallotti, dall’altra due mesi, che potrebbero iniziare così. Un giorno un tale in bicicletta passa davanti al Carillon in bicicletta. Era il 1989, o giù di lì: si ferma, mette già la bici, butta dentro la testa. «Scusi, è uscito il disco di Biagio Antonacci?». E Massimo Colombo, da dietro il banco: «E chi è Biagio Antonacci?». «Sono io» fa il ciclista, e se ne va. Era il primo disco. «Era un ragazzino».
Massimo Colombo ha aperto il negozio nel 1979, a novembre. Aveva 22 anni. Ne sono passati quasi 37. L’estate prima era stato in Inghilterra: aveva visto dal vivo Led Zeppelin e Who. Non erano stati loro a farlo decidere: un negozio dischi per lui era nell’aria come è necessario per chi ama la musica, gira l’Europa per ascoltarla, colleziona dischi per portarsela a casa. Poi è diventato un lavoro: lì, in via Cavallotti, oggi come quel giorno di tanti anni fa. Ma quello che lui sa, come ha già imparato Genny Gulletta dall’altra parte di Monza, è che non si tratta di vendere dischi, ma di condividere, una passione, forse un’ossessione: in pochi metri quadri si parla di musica, si incontrano musicisti, si fa musica.
Come quel Marco che passa e passava da via Cavallotti. “Marco” lo chiama Massimo Colombo, perché così ha conosciuto Morgan: un ragazzo che abitava là dietro e passava di lì, andava a sparigliare i vinili sullo scaffale, li comprava e ne parlava, da quando era bambino. C’è lui, c’è il ricordo di Malika Ayane quando cantava jazz e provava nei dintorni con un gruppo, c’è Nick Di Cuonzo, proprio lui, che con un sassofono sulle labbra è arrivato anche negli Stati Uniti a jammare con i grandi e ancora oggi torna nel negozio a raccontare le leggende con cui ha condiviso il palco. Lui e gli altri ci si devono tuffare, nel Carillon, perché «no, non c’è un particolare ordine, il bello è proprio sfogliare i dischi per scoprire qualcosa di nuovo» e nessuno, tranne Massimo Colombo, sa davvero dove stanno i gruppi e i cantanti, così come da dove arrivano i vinili: «Eh no, questo è un segreto» dice e sorride.
Musica americana, classic rock, progressive, quell’area lì. «Perché? Passione. Erano altri tempi, eravamo giovani, entusiasti, il mondo era incredibile. Quando ho aperto c’erano quattro o cinque negozi: Bramati, Superdisc e altri. Siamo arrivati a essere quattordici. Poi tutto è cambiato».
Il record store è un posto «dove si va, si chiacchiera, qualcuno arriva e suona, gli amici entrano e si parla di musica». Clienti fissi, gente che dall’apertura un giorno alla settimana passa, i vecchi amici, quelli nuovi, «una generazione di ragazzi che sta riscoprendo il vinile», che è strano solo per loro, perché «qui non l’abbiamo mai abbandonato».
Ed è un’altra cosa, assicura Colombo: «Basta guardare i nuovi vinili delle vecchie incisioni: se non c’è scritto che sono fatti dai master, è come ascoltare i cd, perché da lì sono presi, con le frequenze alte e basse tagliate».
Una passione per i cantautori come Bob Dylan e Neil Young e tutti quelli grandi, piccoli e minuscoli che hanno deciso di fare musica, come i tanti che sono passati anche dai metri quadri di via Cavallotti.
«Noi che abbiamo un negozio da trenta e quarant’anni siamo una memoria storica del rock. E siamo gelosi di quello che sappiamo. Non è l’avere che conta, ma quello che sappiamo».
Trent’anni dopo e un po’ di più, nonostante catene come Il Libraccio e la Feltrinelli si siano rimesse a trattare il vinile, c’è chi ha deciso che qualche metro quadro, un po’ di scaffali e le file di 33 giri sono ancora un affare. Genny ha 31 anni e ha aperto Lullabies a febbraio, in via Enrico da Monza. Dalla musica e da Monza arriva: dalla città perché ci è nata, dalla musica perché per nove anni ha lavorato al Circolo Magnolia, uno dei più importanti club del Milanese.
Poi ha voltato pagina, quasi del tutto, e si è presa un paio di piccoli locali: lo ha chiamato Lullabies perché un giorno canticchiava un brano dei Queen of the stone age e allora perché no, suona leggero, un po’ incantato, fa a pugni quanto basta con il suo cuore nerd, metal, stoner e sludge. Tutta roba un po’ figlia dei Black Sabbath, per intendersi e per farla un po’ facile. E tutta roba che non è facile da trovare. Lei dice così: «Si possono comprare su Amazon, come qualsiasi cosa. Ma devi decidere di prenderne un po’ e di pagare la spedizione, altrimenti non conviene. O di aspettare un concerto, che chissà se e quando arriva. Allora puoi venire da me, io ho quei dischi»: che significa metal, sludge, stoner, ma anche punk, rock, psichedelia, techno e tutto quello che è musica indipendente, di etichette indipendenti, italiane e non.
«Ma non è solo questo – aggiunge – Chi ama la musica compra poco o nulla i cd, ormai: ci sono gli mp3, scarica il digitale. Però chi la ama davvero vuole qualcosa in mano, un cimelio. E allora è meglio il vinile».
Chi ascolta blues, per esempio, non lo abbandona. Chi deve mettere musica techno ha bisogno di lui. Chi ascolta i Craftwerk vuole i vinili. «Ma non si tratta di coraggio: io, chiunque ascolta questa musica, sceglie il vinile: alla fine non è cambiato tanto. E allora un posto perché anche a Monza e in Brianza si possano trovare. Il vinile è una cosa che lo vedi, lo tocchi, lo scegli: volevo ricreare uno spazio in cui chi ascolta produzioni medio-piccole possa trovarle». Eccoli lì, uno in fila all’altro: quello che non c’è altrove è lì, diviso per etichette, né ordine alfabetico né band. E se ordine non c’è, non c’è neanche genere: foto, abiti, pedali per chitarra, libri, serigrafie, con una sola regola, la parola craft, fatti a mano, da produttori del territorio.
Intanto, il Record store day: lì gli organizzatori hanno girato un video per il 2016, intanto ci sono un po’ di edizioni speciali in arrivo e Jason Molina sugli scaffali. Roba per intenditori: roba per chi frequenta i negozi di dischi.