Sono stati affissi in via Azzone Visconti a Monza martedì mattina. Sono due manifesti di grandi dimensioni, di sei metri per tre, che riproducono due delle fotografie simbolo delle più recenti tragedie umanitarie. Legate alla guerra in Siria e al dramma dell’immigrazione.
Quella che ha immortalato il piccolo Aylan, di tre anni: giaceva senza vita, a pancia in giù, con il volto tra le onde, sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia. E quella che ha fissato nel tempo lo sguardo senza più emozioni di Omran, dal corpo ricoperto di sangue e di polvere, ma ancora vivo. L’architetto monzese Felice Terrabuio le ha utilizzate per un nuovo progetto di “urban art”, scherzando provocatoriamente con il suo nome in quella che è stata la scelta del titolo, “#chiedimisesonofelice!”.
Un’iniziativa che Terrabuio ha realizzato con la volontà di fare arte, di portare le persone a riflettere. In maniera differente dal solito. “Uno specchio per pensare, riflettere sul senso, rigenerare l’energia dello sguardo, fendere con le immagini l’istante di passaggio, fondere il paesaggio di passaggio con domande, mostrare dissonanza tra immagine e messaggio. Sguardi mobili, emozioni e riflessioni, pensieri forse nobili. L’arte urbana Non profana, ma trasforma”, ha scritto il giornalista Vittorio Raschetti nella presentazione del progetto.
Progetto che, non appena è stato affisso in una delle principali arterie della città, ha presto scatenato fiume in piena di commenti sui principali social network.
Twittato anche all’account del Cittadino, l’angolo che accoglie i manifesti è stato postato sul gruppo “Sei di Monza se”: indignato, c’è chi ha contattato l’amministrazione comunale per richiederne la rimozione e chi ha commentato che sono fotografie terribili, che andrebbero oscurate, che a passare con dei bambini in quel tratto di strada si rischia di spaventarli, di farli piangere. In molti hanno considerato l’iniziativa cattivo marketing. Poche, pochissime le persone che l’hanno interpretata come un’operazione di sensibilizzazione, utile a scuotere le coscienze.
Tra i due estremi, però, si trova lui, Felice Terrabuio, che, al telefono, spiega come «accostare la vita e la morte rientri nella quotidianità che tutti noi dobbiamo affrontare e che l’arte, tutta l’arte, serve per far riflettere proprio le persone che nell’arte si imbattono». Soprattutto se è arte urbana, se è alla portata di tutti. Terrabuio e l’associazione artistica StreetArtPiu non sono nuovi alla realizzazione di opere inusuali, tra cui alcune installazioni di street art che in passato hanno colorato diversi punti della città.