Il 9 luglio di venticinque anni fa, sul sagrato della cattedrale di Mogadiscio, moriva assassinato il primo vescovo della città. Aveva 66 anni monsignor Salvatore Colombo, che per i suoi otto nipoti è sempre rimasto “lo zio Pierino” nato il 28 ottobre 1922 in via Verdi, dove tornava nei brevi soggiorni di vacanza di due o tre mesi che lo riportavano in Italia di tanto in tanto. Era l’ultimo dei quattro figli di Luigi Colombo ed Ernesta Farina.
Entrato nella congregazione francescana nel 1944, dopo due anni era stato ordinato presbitero dal cardinale Alfredo Ildefonso Schuster. Era partito per la Somalia il 30 marzo 1947. Nominato parroco nel 1956, nel 1975 era stato consacrato vescovo dal cardinale Giovanni Colombo, proprio nella chiesa prepositurale dei santi Ambrogio e Simpliciano di Carate dove era stato battezzato e dove oggi è ricordato da una lapide posta accanto al campanile, dove sono incise le sue ultime parole: «Signore, ti offriamo la vita».
La nipote Liliana, figlia del fratello Franco, terzo di nascita dopo Adalgisia e Abele, sfoglia l’album di famiglia e ricorda: «Sembra ieri la mattina in cui mio cugino mi telefonò per dirmi che lo zio Perino era morto. Ero incredula e sconvolta. Di lui conservo tanti ricordi e una grande lezione di umiltà: non si dava arie e anche dopo l’ordinazione episcopale ha continuato ad indossare semplicemente il saio e i sandali, come un francescano qualunque».
«Una volta in una stazione qui in Italia – aggiunge Maria, figlia di Liliana – alcuni ragazzi lo fermarono stupiti e gli chiesero come mai un frate portasse al dito un anello tanto importante come il suo. Rimasero senza parole nello scoprire che quello che avevano davanti era un vescovo». «Zio Pierino era una persone speciale – continua la nipote diretta – e papa Francesco me lo ricorda molto: anche lui si rifiutava di viaggiare sull’auto privata e usava i mezzi pubblici come qualunque altra persona. Ha dato la vita per la sua Somalia, dove ha costruito scuole, ha aperto pozzi e ha fondato la Caritas. Ha vissuto per la giustizia e la pace del popolo somalo. Ogni volta che tornava a Carate riusciva a mobilitare tantissima gente, che lo aiutava volentieri a finanziare le sue opere missionarie. Gli volevano bene proprio tutti».
Monsignor Colombo fu ucciso sul sagrato della sua cattedrale, la sera del 9 luglio 1989, al termine della messa vespertina, per mano di un assassino solitario rimasto senza nome né volto. Testimone del martirio, padre Massimo Taroni, in questi giorni a Carate per testimoniare il bene fatto dal vescovo missionario a cui Carate ha intitolato una scuola (la paritaria Vescovi Valtorta e Colombo) e una via (quella della Chiesa di Cristo Re al Campone). Fu lui, all’epoca dei fatti giovane studente di Teologia, il primo a soccorrerlo in quella sera di sangue che l’opinione pubblica ha dimenticato troppo in fretta e che ancora oggi è senza colpevoli e senza risposte ai tanti interrogativi.
Mercoledì 9 luglio, alle 18, in chiesa prepositurale, la messa celebrata da monsignor Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e, alle 21, in Agorà, “In memoriam…”, immagini e voci per ravvivare il ricordo, con la partecipazione della Schola cantorum di Carate e della Corale parrocchiale di Albiate.