Qualcuno sospettava che fosse a Dubai? È proprio là, nella città degli Emirati Arabi Uniti che non ha firmato accordi bilaterali con nessun Paese e quindi non concede l’estradizione: Anthony Armstrong Emery si trova al One&Only Royal Mirage hotel. Manco a dirlo, un resort a cinque stelle (e forse qualcosa di più) in cui sono andati a stanarlo i giornalisti del Sunday Times. In un articolo pubblicato domenica 22 febbraio, Camilla Wright e James Gillespie raccontano del loro incontro con l’ex presidente dell’Ac Monza Calcio, dell’Alecrim di Natal in Brasile e il fondatore della Ecohouse, la compagnia che prometteva in giro per il mondo interessi del 20 percento in un anno a chi investiva in presunte operazioni di edilizia sociale in sudamerica.
La società ha collassato definitivamente verso la fine dell’autunno lasciando in giro per il pianeta un numero ancora imprecisato di investitori che difficilmente rivedranno i loro soldi. Cinquanta milioni di sterline, dice il Times, o meglio: “Il Padrino delle case lascia miseria per 50 milioni di sterline”, come recita il titolo del servizio di domenica. Lui sta bene, a occhio e croce, per quanto contesti le voci che lo danno per «seduto da qualche parte a far la bella vita con milioni di sterline in un conto bancario». «Ridicolo anche solo averlo pensato», risponde secco sorseggiando un bicchiere di birra, «non intendo nemmeno rispondere a queste voci».
I patti chiari di Armstrong con i giornalisti sono questi: «I’m not here to say I’ve done anything wrong», non sono qui per dire di avere fatto alcunché di sbagliato. Insomma: nessun rimpianto. O meglio niente di cui scusarsi, secondo l’imprenditore nato a Londra sui cui stanno indagando la polizia brasiliana e quella britannica. Non la pensa così Nerys Pearce, 33enne, una delle tante persone che sarebbero state truffate – il Cittadino ne aveva scritto – anche nel Regno Unito dalle promesse di Ecohouse: vive su una sedia a rotelle da tempo dopo un brutto incidente mentre era in moto e buona parte dei soldi avuti come risarcimento li ha investiti proprio nell’edilizia sociale garantita da Armstrong, che in Inghilterra aveva giurato che i capitali sarebbero stati in cassaforte all’interno del Paese e non all’estero. Lei, come tanti altri, aveva pensato di garantirsi qualche soldo per gli anni a venire facendo una scelta etica – costruire case in zone disagiate del Brasile.
«Non tollero volentieri gli sciocchi» dice Armstrong al Sunday Times sbuffando col suo sigaro nel déhors dell’Arabian court dell’hotel. «Non ho ingannato nessuno. Abbiamo pensato a ogni singolo aspetto. Abbiamo presentato la compagnia nel modo adeguato rispetto al genere di mercato in cui stavamo investendo. Gli investitori hanno detto che avevo garantito gli interessi… non abbiamo garantito niente. Però sì, abbiamo parlato del 20 percento».
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Secondo l’articolo il punto di non ritorno della società è stato quando il fondatore di Ecohouse ha raccolto in due settimane a Singapore nel 2012 investimenti per 24 milioni di sterline (oltre 32 milioni di euro): allora la società ha iniziato a spendere fuori controllo, affittando uffici di vendita a Toronto, Manila, Pechino, Londra e Singapore. Poi i viaggi in prima classe («se vado a Singapore per un meeting, non posso certo andarci in economica»), le case e gli alberghi di lusso, le auto sportive. Finché i nodi non sono venuti al pettine.
Nel frattempo era diventato presidente di una squadra di calcio brasiliana – «essere presidente di un club doveva pur dire che gli investimenti erano buoni, no?» – e quindi dell’Ac Monza Brianza, con 300mila euro di liquidità messi nella società per coprire i debiti, dice l’ex proprietario dei biancorossi (ora la società rischia seriamente il fallimento): «Ma non l’ho comprata per gli affari, era per me: io ho soldi, soldi personali. Come presidente di una compagnia internazionale prendo uno stipendio, o forse le persone credono che lavori gratis? Quello che faccio con i miei soldi sono affari miei».
Armstrong poi si è trasferito a Monaco affittando un appartamento da 38mila sterline al mese (più di 50mila euro) e ha noleggiato una Ferrari per venire a Monza e vedere le partite – d’altra parte qui come in Brasile è meglio non torni, teme anche di essere ucciso. Lo ha fatto finché in autunno l’avvocato italiano gli ha suggerito di lasciare il Paese per evitare complicazioni, racconta, tipo l’estradizione. Allora Dubai, eccolo là: al Royal Mirage, nell’Arabian court dove una sola notte di soggiorno costa da un modesto 505 euro colazione inclusa fino a un sontuoso 2.400 euro. Niente di cui scusarsi, ovviamente. E niente da rimpiangere, si direbbe. Ma forse era meglio Edith Piaf.