La Villa reale non è più un fantasma da oltre un anno, ma non del tutto: qualche pezzo della casa monzese di re e imperatori non risulta al catasto. Per ora se ne sa poco, ma la certezza è che gli uffici del Consorzio e del Comune sono in contatto per rimettere in fila tutti gli atti che sono risultati un selva di dubbi, assenze e incongruenze. «Ci stiamo lavorando da qualche mese» conferma il direttore dell’ente che gestisce villa e parco, Lorenzo Lamperti: «È uno dei tanti problemi che ci siamo trovati ad affrontare», ma non è certo dei più trascurabili.
Su quali e quante parti della Villa reale e del parco siano da regolarizzare con il catasto Lamperti mantiene il riserbo, ma la memoria corre subito al 2012, quando si è scoperto che persino l’autodromo nazionale attivo da un secolo era uno sconosciuto agli uffici catastali. “Fabbricato non dichiarato” era risultato allora il tempio della velocità, un guaio per la vecchia dirigenza Sias, poi sommersa da ben altri problemi.
Allora era emerso che gran parte (se non tutte) le strutture più recenti realizzate all’autodromo non erano registrate all’Agenzia del territorio: sedici fabbricati in tutto. Un po’ di chiarezza: la mancata registrazione non ne faceva abusi edilizi, ma aveva conseguenze sulle tasse comunali sugli immobili. Le procedure di verifica erano partite un anno prima che la notizia fosse diffusa, con un ultimatum del catasto perché fossero messe a posto le dichiarazioni prima di far partire le sanzioni. Non era andata diversamente per il golf: entrambi i concessionari erano poi scesi a patti con l’amministrazione comunale per rientrare degli anni di tasse non versate.
Sarà lo stesso per Consorzio o, a cascata, per il concessionario degli spazi della reggia e i suoi subconcessionari? Questa per ora resta la domanda fondamentale. Il Comune per ora si limita a dire che si tratta – come ribadito da Lamperti – del naturale lavoro di riordino di tutta la reggia. Che questo possa trasformarsi anche in una “stangatina” regale, lo si saprà presto.
Il problema? La proprietà indivisa tra Monza, Milano, il demanio, lo Stato, che ha creato negli anni tanti, troppi grovigli amministrativi che ora il Consorzio sta cercando un po’ per volta di sciogliere. «Comunque adesso stiamo facendo quanto occorre – conferma Lamperti – Abbiamo chiesto al Comune di procedere: fa tutto parte delle attività di riordino che stiamo portando avanti».
La questione è tecnica, non politica: il sindaco Roberto Scanagatti, almeno per ora, non si pronuncia sull’errato accatastamento di alcune parti della Villa Reale: «I funzionari – afferma – stanno effettuando le verifiche necessarie, insieme al Consorzio di gestione cercheremo di capire cosa va fatto. Mi, pare, però che il problema sia legato al cambio di destinazione d’uso di determinate porzioni dell’ex reggia». I valori delle rendite, insomma, andranno modificati per il ristorante e, probabilmente, per le stanze adibite a museo perché le stime attuali sono diverse da quelle assegnate al complesso in disfacimento, prima del restauro. Gli accertamenti dovranno anche chiarire quale ente, eventualmente, dovrà pagare i conguagli relativi agli ultimi anni. «La questione della Villa Reale – precisa il sindaco – è ben diversa da quelle che in passato hanno interessato l’Autodromo e il Golf» sanzionati in quanto alcune strutture non risultavano segnalate sulle mappe del Catasto.
La beffa, o il paradosso dell’imperatrice: Maria Teresa d’Austria è la sovrana che ha voluto la costruzione della reggia monzese ed è la stessa regina che ha portato in Italia il catasto. “Catasto teresiano” è il nome tradizionale di quello che negli anni si è evoluto fino alle attuali Agenzie del territorio: allora era il primo sforzo per tentare di censire le proprietà fondiarie a partire dal ducato di Milano, entrato poi in vigore con qualche incidente di percorso il primo gennaio del 1760. L’incarico per la costruzione della Villa reale all’architetto Piermarini è successivo, risale al 1777, tre anni dopo era pronta: probabilmente allora l’imperatrice la fece inserire nel catasto. Due secoli e mezzo dopo, le carte si sono un po’ ingarbugliate.