Il mercato delle scommesse non autorizzate in Italia conta, secondo un censimento realizzato dagli stessi concessionari nel 2012, 4000 punti illegali distribuiti su tutto il territorio nazionale, a fronte di 6143 punti autorizzati tra agenzie, negozi e corners.
In Campania dove la raccolta è arrivata a 382 milioni, e dove i punti autorizzati sono quasi mille (991), il rapporto sale a 5 a 1. Stessa proporzione in Lombardia che, con 929 punti legali può contare una raccolta, da inizio anno, di circa 260 milioni di euro, e in Toscana che conta poco più di 350 punti regolari e circa 109 milioni raccolti. In Piemonte, invece, dove la raccolta di scommesse sportive, nei primi sei mesi del 2013, ha raggiunto i 102 milioni euro (secondo proiezioni Agipronews su dati dei Monopoli) il rapporto è due a uno, dunque un punto illegale ogni due legali.
Diversa la situazione per il Lazio: qui c’è un punto illegale ogni tre legali con una raccolta stimata, a giugno, di circa 215 milioni. Stesso quadro in Calabria e Puglia dove per la raccolta legale, però, si scende, rispettivamente, a 162 e 63 milioni. Il fenomeno appare meno capillare in Sicilia (145 milioni raccolti), con un punto illegale ogni sette legali, e in Veneto e Emilia Romagna dove questa proporzione passa a 8 a 1 e la raccolta raggiunge i 78 e i 120 milioni.
Che si tratti di operatori internazionali che vantano diritto di operare in Italia o di punti completamente gestiti dalla criminalità organizzata, il rapporto punto legale-illegale, in alcune zone dove la raccolta è maggiore, è 1 a 1 grazie anche a una politica “mirata” degli operatori non autorizzati, che aprono i loro punti non lontano dalla rete legale, per attirare gli stessi utenti. Una rivalità che agli occhi degli scommettitori può rappresentare una semplice differenza di quote e di offerta, ma che allo Stato costa parecchio in termini di erario.