Fuori dall’emergenza – Monza ha revocato a inizio settimana il piano anti-smog avviato a metà dicembre (per Euro 3 e riscaldamenti) – arriva il contropiano anti inquinamento proposto dal Comitato San Fruttuoso 2000, che assicura: «Siccome Monza è additata come la città più inquinata d’Italia, abbiamo il dovere oltre che l’interesse di dimostrare che questo primato non ci sta affatto bene e che ci impegniamo seriamente per contrastarlo», ha scritto il comitato in una nota accompagnata da un decalogo e un’avvertenza.
Alcune proposte «richiedono lo sviluppo di piani pluriennali e/o fondi extra per attività sperimentali. Ma lo smog va affrontato esattamente così». Cosa fare? Oltre alla metropolitana fino a Monza, dicono, si può intervenire sul riscaldamento delle scuole: vanno notte e giorni ferie incluse. Poi l’utilizzo dell’asfalto antismog in biossido di titanio che assorbe inquinanti, le vernici fotocatalitiche per le facciate dei palazzi, capaci di mangiare smog, quindi il lavaggio delle strade con l’acqua, aumento di piantumazioni e incentivi per le caldaie di classe energetica. E ancora: sostegno e promozione dei trasporti pubblici e autobus elettrici («un autobus pubblico
del tipo oggi usato a Monza genera smog come 43-78 autovetture»).
Senza dimenticare il tentativo di gestire i tempi della città. «Come prescritto da una legge nazionale, il Comune di Monza ha avviato nel 2007 la stesura del Piano Territoriale degli Orari – scrive il comitato – per il quale ha anche ottenuto da Regione Lombardia un contributo di 50mila euro. Che fine ha fatto? Come avviene all’estero, si tratta di concordare con enti e aziende del territorio, e di aree confinanti se necessario, una articolazione degli orari di ingresso e uscita dal lavoro che riducano la concentrazione nelle ore di punta. Meno traffico, meno tempo di percorrenza, meno inquinamento».
«La gravità del problema richiede di mettere a punto piani-guida di rilevanza nazionale per i quali è possibile chiedere fondi extra dallo Stato e dalla Regione – conclude la portavoce Isabella Tavazzi – Al Comune diciamo: diamoci da fare».