Si è spenta il 13 febbraio non lontano dalla sua villa di Caponago, “la contessa” – come tutti la conoscevano in paese – Moneta Caglio Monneret De Villard. Marianna Augusta, detta anche Annamaria, aveva 86 anni ed è rimasta impressa nelle cronache nazionali e internazionali con il soprannome di “Cigno Nero”, che la giornalista Camilla Cederna le affibbiò ai tempi del caso Montesi per il suo lungo collo e per gli eleganti abiti scuri che era solita indossare. Giovane e affascinante rampolla di un’antica casata di origini nobili, la Moneta Caglio fu la principale testimone del primo caso dove politica, giornalismo e gossip si mischiarono fino a far esplodere il più chiacchierato scandalo dell’epoca, i cui echi si possono avvertire ancora oggi.
L’ultimo canto del “Cigno” è stato discreto e silenzioso, nell’assenza di qualsiasi riflettore. «Ho evitato tutto, persino l’affissione dei cartelli funebri – ha spiegato la figlia Alessandra Ricci – Non volevo trovarmi giornalisti e televisioni davanti al cancello di casa, la morte di mia madre me la volevo tenere in santa pace io». Forse perché di inchiostro versato sulla Moneta Caglio ce n’è stato in abbondanza, forse perché la scomparsa della donna, nelle parole della figlia, è arrivata inaspettata. «Mia madre era malata, aveva già avuto un paio di ictus e una serie di tia, aveva qualche problema di cuore e da meno di un mese sono emersi sintomi da Alzheimer – ha proseguito la 54enne – Ma quel sabato mattina stava bene, aveva dormito tranquilla e le avevo appena portato una tazza di latte. Poi ho sentito un silenzio di tomba provenire dalla sua stanza, anche il cane aveva smesso di rognare. Non l’ho trovata addormentata, ma morta. È stato uno choc». Sul posto è arrivata la guardia medica e «poi anche i Carabinieri, perché la guardia medica non ha stilato il certificato di morte naturale…forse pensava l’avessi uccisa io. Fatto sta che il medico necroforo ha poi attestato il naturalissimo decesso di mia madre, attribuendolo a cause senili: potrebbe essere per un attacco di Alzheimer».
La signora Moneta Caglio è uscita di scena in punta di piedi, contrastando il grande parlare che negli anni Cinquanta (e non solo) si fece di lei attorno al caso Wilma Montesi, la bella 21enne trovata morta sulla spiaggia di Torvajanica nel 1953. Già, perché Marianna fu la superteste che ebbe il coraggio e l’ardire di puntare il dito contro i festini – forse cocktail di sesso e droga – che prendevano vita a Capocotta, frequentati dalla gioventù borghese romana e dal mondo degli aspiranti vip. La tenuta incriminata era amministrata dal marchese Ugo Montagna, allora fidanzato della Moneta Caglio. Che testimoniò di non aver mai partecipato alle feste ma di riferire molte cose che sapeva da Montagna, tra cui il coinvolgimento nel gruppo dei “capocottari” di Piero Piccioni – in arte Piero Morgan, che attualmente è ricordato come pianista e direttore d’orchestra –, ovvero il figlio dell’allora ministro della Democrazia Cristiana Attilio Piccioni. Se quest’ultimo scontò lo scandalo con una carriera politica stroncata, chi pagò più di ogni altro alla fine del caso fu proprio la Moneta Caglio, condannata a 2 anni e 8 mesi per calunnia (il processo non identificò nessun colpevole, perché Wilma non morì ammazzata, ma accidentalmente per un pediluvio in mare). «A mia madre diede fastidio fino alla fine, di essere passata alla storia come la “puttana mantenuta che parla per vendetta”» ha detto Alessandra.
I funerali di Marianna Augusta non sono stati celebrati: «È stata cremata e prossimamente faremo solo la benedizione della salma».