La prima udienza della più grossa causa risarcitoria finora mai tentata, ben 10.174 i danneggiati dalla diossina che chiedono giustizia alla Givaudan, si è svolta giovedì 10 dicembre a Monza. Mezz’ora il confronto tra le parti poi il rinvio
È iniziato dunque Inizia all’insegna dei cavilli e del “tirare in lungo” l’iter giudiziario relativo alla class action promossa dal comitato 5D, capitanato dall’indomito Gaetano Carro, 86 anni, contro la multinazionale svizzera Givaudan Hoffmann La Roche.
La prima udienza, di quella che è già stata definita la più grossa causa risarcitoria finora mai tentata, ben 10.174 i danneggiati dalla diossina che chiedono giustizia, si è svolta giovedì nell’aula 210 della seconda sezione del Tribunale civile di Monza. Presenti Gaetano Carro, in rappresentanza dell’intero comitato, difeso dagli avvocati Marianna Ballerini e Daniela Corbini.
Poco prima che il giudice, Caterina Caniato, chiamasse, alle 9.45, gli imputati ad entrare in aula, si è materializzato nell’affollato corridoio anche l’avvocato della multinazionale, la dottoressa, Eva Lenski, “toga storica” della Givaudan, dal momento che è stata lei a difendere in tribunale la multinazionale già dal 1976. Alla fine, dunque, anche la Givaudan si è costituita in giudizio, cosa che avrebbe dovuto già fare entro lo scorso 19 novembre.
«La tratta B2 di Pedemontana incombe – ha dichiarato Carro prima di varcare la porta del giudice – così, il pericolo diossina per noi, che già abbiamo subito i tristi eventi del 1976, è purtroppo, drammaticamente ancora attuale. Così come lo sono le nostre nuove richieste di risarcimento. Che restano, per questo motivo, quanto mai valide e non prescritte».
Poco meno di mezz’ora è durato il confronto tra le parti: la Givaudan ha avanzato un cavillo, legato a una questione di diritto internazionale, a cui ora gli avvocati del Comitato 5D dovranno rispondere entro il 18 febbraio. Una mera questione pregiudiziale che terrà poi banco nell’udienza del 20 marzo prossimo in cui il giudice dovrà decidere su tale aspetto preliminare.
I bene informati sussurrano che, inizialmente, la Givaudan Offmann La Roche abbia evitato di costituirsi in giudizio entro 20 giorni dalla data della prima udienza perché «pretendeva che le carte relative alla nuova citazione in giudizio che le sono state fatte pervenire, venissero tradotte anche in francese». Aspetto su cui ha, poi, deciso di sorvolare. Non senza mettere, però, bene in chiaro che, a suo giudizio, i nuovi capi d’imputazione contro cui è chiamata a difendersi sono per lei «privi di consistenza».
Nulla di meglio, dunque, che cercare d’allungare i tempi accampando un cavillo di carattere procedurale. «Sperano forse che io me ne vada prima in Paradiso? – ha scherzato Carro, uscendo dall’aula – ma io l’ho ripetuto all’avvocato della Givaudan che non me ne vado prima d’aver ottenuto giustizia. L’importante è che il loro cavillo non inficia la questione di diritto né la causa. E il mio sogno resta quello di veder finalmente riconosciute le nostre ragioni almeno nell’anno del 40° anniversario del disastro Icmesa».