«Venerdì ero al telefono con mio nipote che vive a Dacca quando ho sentito un’esplosione. Spari, grida e vetri infranti. Non capivo quello che stava succedendo, ma ho compreso subito che era qualche cosa di grave».
È ancora scosso Mohammad Shaffaeet, giovane bengalese che da oltre dieci anni vive a Monza dove è molto attivo all’interno della comunità, tra gli organizzatori nella mattina di mercoledì 6 luglio di un momento di preghiera a conclusione del ramadan nei giardini di via Riva, accanto alla chiesa di Cederna, dove la comunità bengalese rappresenta il 70 per cento degli stranieri del rione.
Un momento di preghiera autorizzato dall’amministrazione, come hanno ricordato gli organizzatori, che hanno ringraziato il Comune e le forze dell’ordine in divisa e in borghese che fin dall’alba hanno presidiato la zona.
«Sono ancora scosso e chiedo perdono per quanto successo – continua – Siamo tutti scioccati e increduli. Mia mamma che vive a Monza ha pianto e mio nipote a Dacca, sceso poi in strada è rimasto sconvolto davanti a quello che ha visto. Al poliziotto morto e a tanto sangue e per due giorni non è riuscito a mangiare».
Una carneficina nitida negli occhi dei tantissimi bengalesi che da anni vivono, studiano e lavorano a Monza e che hanno avuto parole di cordoglio e di preghiera per le vittime e per i loro familiari.
«L’imam più di una volta ha ripetuto di pregare per le anime delle vittime e per i loro parenti affinché abbiano la forza di affrontare questo momento», riferisce Shaffaeet.
Parole di vicinanza agli italiani e di condanna ai carnefici arrivano direttamente da Zakir Hossain segretario dell’Associazione culturale monzese del Bangladesh “Baytun Noor”. «Il nostro Dio, il nostro profeta vieta di uccidere – spiega – Chi ammazza va all’inferno e chi afferma il contrario è perché non conosce il Corano». Una condanna unanime quella della comunità bengalese contro la strage di Dacca.
«L’islam è una religione di pace che invita al rispetto per gli altri credo – ribadiscono Hossain e Shaffaeet al termine della preghiera – Il Corano vieta di uccidere ed emblematico il gesto di quel giovane musulmano che nella strage di venerdì si è fatto ammazzare insieme alle due amiche indiane che non erano di religione islamica. Un terrorista non è un musulmano e chi è musulmano non può essere un terrorista».
Una comunità raccolta nel momento di festa e nel dolore per quanto accaduto nel loro Paese. «Non riusciamo ancora a credere che quei ragazzi di buona famiglia abbiano compiuto quel gesto – aggiungono – Tra di loro c’era anche il figlio di un dipendente del governo».
Dopo la strage di Dacca la paura che ci fossero anche amici o parenti tra le vittime. «Se mio nipote si fosse trovato lì di passaggio sarebbe morto», aggiunge ancora incredulo Shaffaeet. La parola ricorrente nella mattinata, soprattutto tra i giovani, è “sorry”.
«Chiedo perdono per quanto successo – commenta Monzurul Alam che lavora in Brianza – Anche stanotte ho pianto e non posso dormire di fronte a tanta sofferenza. Sono molto dispiaciuto e come tutti i musulmani disapprovo quel gesto».
Al termine della preghiera è intervenuto anche l’avvocato monzese Antonella Crippa, che ha voluto inviare un messaggio di pace, amore e dialogo tra le religioni.